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Sorbo: il Protettore della Rinascita

Nome: Sorbus aucuparia L., famiglia delle Rosaceae.
Altre specie di Sorbo comuni nelle nostre zone sono Sorbus domestica L. e Sorbus aria L., o Sorbo montano.

Il nome generico deriva forse dal latino sorbeo, “sorbire, assorbire”, presumibilmente per via delle proprietà astringenti e conservanti delle bacche, con le quali presso i Romani si produceva una bevanda dalle caratteristiche simili al sidro.
Il nome specifico aucuparia deriva probabilmente invece da avium, “uccello” e capere, “prendere, catturare”, perché gli uccelli sono ghiotti dei frutti di quest’albero e si posano numerosi sui suoi ami per nutrirsene, rendendo il Sorbo un involontario alleato dei cacciatori.

E’ interessante notare che il suo nome germanico è Eberesche, che deriva dalla fusione dei nomi gaelici di altri due alberi, il Tasso (Eburos) e il Frassino (Esche): infatti le foglie del Sorbo somigliano a quelle del Frassino, mentre i suoi frutti a quelli del Tasso.

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Botanica:
Il Sorbo è un albero amante della luce, che raramente raggiunge grandi dimensioni, attestandosi di solito su altezze intorno ai 13 metri (altezza massima raggiunta: 30 m) mentre, in condizioni ideali, può vivere anche fino a 300-400 anni.
Non pretende molto dal suolo e, lasciando filtrare molta luce attraverso i suoi rami,permette alle altre piante di crescere attorno a lui.

I suoi habitat principali sono le pendici delle colline e delle montagne meno alte, dove spesso si trova vicino alle abetaie e dove contribuisce all’equilibrio del terreno trasformandone gli strati acidi, prodotti dalla lenta decomposizioni degli aghi, in fertile humus. Per il suo bisogno di luce diretta preferisce crescere come esemplare isolato e conquista il proprio spazio emettendo rami orizzontali poco lontani da terra, diventando un albero con la chioma più larga che alta.

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Il tronco è di colore bruno e negli esemplari giovani si presenta liscio, e inizia a fessurarsi, partendo dal basso, solo quando l’albero raggiunge l’età adulta. In presenza di disturbi geodetici cresce attorcigliato, girando generalmente verso sinistra.
Le gemme sono verdi, macchiate di rosso e resinose. Le foglie sono lunghe 15-25 cm, imparipennate, composte da 13-21 foglioline dal margine seghettato, lunghe fino a 6 cm e larghe 1 cm, di color verde scuro sulla pagina superiore e verde chiaro su quella inferiore. In autunno diventano rosse, colorando il paesaggio.

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Le sue infiorescenze bianche ricordano quelle del Sambuco e sono formate da numerosi fiori a cinque petali, bisessuali, disposti in corimbi che fioriscono a maggio per poi svilupparsi in grappoli di bacche (le sorbe o sorbole) prima verdi, poi arancioni e infine rosse in autunno. L’abbondanza dei suoi frutti dipende dalla grande quantità di luce che riesce ad assorbire. Gli uccelli ricambiano la sua generosità distribuendo i semi contenuti nelle bacche di cui si nutrono.

Fitoterapia:
Le foglie del Sorbo sono impiegate tradizionalmente per la loro azione antinfiammatoria sul tratto intestinale e in caso di meteorismo, mentre l’infuso dei fiori è utile in caso di tosse o bronchite.

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La parte di quest’albero più utilizzata in fitoterapia sono però indubbiamente i frutti, le sorbole, bacche aspre leggermente tossiche da crude ma perfettamente commestibili previa bollitura. Contengono acido sorbico (la parte tossica per l’uomo, con azione conservante – per questo un tempo il latte veniva conservato in recipienti in legno di sorbo), glucidi, carotene, pectina, olio essenziale, provitamina A e più vitamina C di arance e limoni. L’azione delle bacche è dunque antiossidante, astringente, antidiarroica, rafforza il sistema immunitario e purifica il sangue.
I pianeti che governano quest’albero sono Saturno e Venere.

Il gemmoderivato ottenuto dalle gemme di Sorbus domestica è considerato un rimedio specifico per le vene: tonifica la parete venosa, ne combatte l’infiammazione e riduce i fenomeni conseguiti. Agisce nelle sindromi di insufficienza venosa caratterizzate da pesantezza degli arti e negli stati pretrombotici, mostrando una certa tendenza a correggere l’ipercoagulazione.
Altre indicazioni sono acufeni e sordità sostenute da timpanosclerosi. E’ uno dei rimedi d’eccellenza per le donne in climaterio o menopausa, in quanto contribuisce ad attenuare la sintomatologia di tipo circolatorio (cefalea, vampate, ipertensione).

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Mitologia e storia:
Il Sorbo (Luis) è il secondo albero dell’alfabeto arboreo celtico e i suoi rami rotondi, coperti di pelli di toro appena scuoiato, erano usati dai druidi come estrema risorsa per incitare gli spiriti a rispondere a domande difficili. Nelle isole britanniche, il Sorbo è l’albero più utilizzato come protezione contro i fulmini e i malefici in genere.

Nell’antica Irlanda i druidi di due eserciti nemici accendevano fuochi di Sorbo e vi recitavano sopra incantesimi per chiamare gli spiriti a prendere parte al combattimento. Nell’epica celtica (Il Romanzo di Diarmuid e Grainne) la bacca del Sorbo, insieme alla mela e alla noce rossa, viene definita “cibo degli dei”, espressione che porta a interpretare il tabù alimentare su tutto ciò che è rosso come un’estensione di quello comune sul fungo rosso dell’Amanita muscaria, considerata “cibo degli dei” anche presso Greci e Romani (nella Grecia antica tutti i cibi di colore rosso -aragoste, pancetta, triglia, gamberi, frutta e bacche rosse – erano soggetti a tabù tranne che nelle festività in onore dei morti. Il rosso, forse anche per l sua connessione con il colore del sangue, era il colore della morte in Grecia e nella Britannia dell’Età del Bronzo, come mostra l’ocra rossa rinvenuta nelle sepolture megalitiche della piana di Salisbury, così come in altre sepolture dell’Europa Neolitica – cfr. M.Stone, Quando Dio era una donna).

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Il Sorbo è considerato dai Celti l’albero del ritorno in vita e del risveglio, profondamente legato al prevalere della luce sul buio. Il suo mese nel calendario celtico va dal 21 gennaio al 17 febbraio, e a metà di questo periodo cade la festa di Imbolc (1 febbraio), una delle quattro feste stagionali che scandivano l’anno pagano (insieme a Beltane, Lammas e Samain). Imbolc è la festa del ritorno della luce, segna la fine dell’inverno e l’inizio della rinascita della vegetazione. Imbolc e il Sorbo sono protetti dalla dea Brigid (o Birgit, Brigitta, Brigantia), divenuta poi con il Cristianesimo Santa Brigida, che un tempo era la Dea Bianca, la Triplice Dea protettrice del Fuoco, del risveglio alla vita, delle arti, della filatura e della tessitura. Anche per questa ragione, tradizionalmente, i fusi erano in legno di Sorbo. Il legame tra il Sorbo e il Fuoco, la Luce, si trova anche nel suo nome celtico: Luis, che ha la stessa etimologia di luisiu, ovvero “fiamma”.

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Le bacchette da rabdomante un tempo usate per trovare i metalli erano in legno di Sorbo e il suo legno veniva spesso usato nella divinazione. Il suo uso oracolare spiega forse, secondo Graves (Graves R., La Dea Bianca) la presenza di boschetti di quest’albero a Rugen e nelle altre isole baltiche dell’ambra, un tempo sedi oracolari, nonché la frequente ricorrenza del Sorbo notata da John Lightfoot (Lightfoot J., Flora Scotica) nei pressi di antichi cerchi di pietre. Il Sorbo era considerato protettore delle soglie e portatore di luce, custode del passaggio tra i mondi e dei risvegli a nuova vita.

Nei miti norreni ritroviamo ancora il Sorbo come simbolo di protezione. Un mito islandese narra che Thor, dio dei tuoni e dei fulmini, un giorno stava per annegare in un fiume, ma riuscì a salvarsi aggrappandosi a un ramo di Sorbo. Da allora, oltre alla Quercia, anche il Sorbo divenne sacro al dio. Poiché Thor è il dio dei fulmini, questo spiegherebbe anche come mai il Sorbo è considerato nel nord l’albero che meglio protegge contro di essi (statisticamente, quest’albero è in effetto uno dei meno colpiti durante i temporali).

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Tradizionalmente, nel Galles avere un Sorbo vicino alla propria casa era considerata una fortuna e le donne si appuntavano al petto bacche di Sorbo per proteggersi dalle stregonerie.

Infine, è interessante notare come in molte leggende irlandesi si trovino serpenti e draghi in qualità di guardiani di alberi di Sorbo, ed essendo il serpente uno degli animali-simbolo della Grande Dea nella sua versione ctonia, questo dato ci parla della connessione tra il Sorbo e la Dea così come di quella tra il Sorbo e le forze della Terra. Infatti se consideriamo che molto spesso i cerchi di pietre megalitici sorgono lungo le linee in cui scorrono le correnti energetiche della Terra (una sorta di meridiani del corpo di Gaia, un tempo chiamati “linee del drago”, e il drago non è in fondo che una versione potenziata del serpente che, guarda caso, sputa fuoco), e che spesso vicino a questi siti si rinvengono Sorbi o tracce di essi, vediamo come serpenti, Sorbi e siti megalitici siano legati dal filo rosso del culto della Dea Madre, che altro non è se non il pianeta-organismo su cui viviamo e di cui facciamo parte. Le antiche popolazioni, che intuivano e conoscevano l’anatomia energetica della Terra, costruivano mandala di pietra in luoghi in cui l’energia era particolarmente forte, per favorire la comunicazione tra i mondi, le dimensioni temporali e i piani di coscienza, e ponevano il Sorbo come guardiano di questi portali.

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L’energia del Sorbo:
Tempo fa, con il un gruppo di donne, andammo in montagna, al confine tra Italia e Svizzera, per incontrare un Sorbo secolare che cresce lassù. Eravamo emozionate e determinate, ma l’escursione non andò come speravamo. Infatti, non riuscimmo a trovarlo. Il Grande Sorbo non si face scovare, nonostante l’avessimo cercato a lungo, in su e in giù lungo il ripido pendio del bosco in cui abita. Trovammo invece, poco più sotto, altri due esemplari di Sorbo, forse non monumentali come quello che andavamo cercando, ma comunque molto grandi e di certo secolari. Stavano come due guardiani vicino a un rifugio in pietra. Non avendo trovato il Sorbo maggiore, ci concentrammo sui due più “piccoli”, facendo un cerchio e cantando per loro, onorando la loro bellezza e connettendoci alle loro energie. La delusione scomparve. Credo ora che il Grande Sorbo si fosse nascosto a noi perché, in qualche modo, non eravamo ancora pronte a incontrarlo. L’energia del Sorbo illumina e protegge, e protezione significa anche insegnare il giusto tempo e mostrare come la delusione nasca dalle aspettative. Anziché un albero, il Sorbo ce ne offrì due, una coppia di custodi del Tempo, come a dirci: “Ancora non potete incontrare il Re, ma guardate lungo il cammino, prestate attenzione: forse ciò che vi serve ora l’avete già trovato. Apprezzate ciò che avete. La vita è un viaggio con tante soglie.”

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Ogni soglia è morte e rinascita. E il Sorbo custodisce il ritmo dell’evoluzione, proteggendo l’inizio di ogni nuovo ciclo e segnandolo, come i cerchi nel suo tronco testimoniano il tempo di ogni anno che passa.
Il Sorbo è Fuoco e Terra. E’ il Fuoco nella Terra, che non muore mai ma si rinnova ciclicamente. Ci insegna a cambiare pelle come i serpenti, rimanendo noi stesse ma rinascendo sempre. Quando crediamo di essere arrivate alla fine, ecco che ricominciamo, e questo avviene di continuo, su scala piccola ogni giorno, al sorgere del Sole, e su scala più grande attraverso i cicli che scandiscono la nostra vita presente così come quelli che ci guidano lungo le nostre reincarnazioni. Il Sorbo protegge gli inizi, le soglie e il Fuoco che non si spegne. E’ guardiano del Tempo e del Karma, insegna ad attendere il momento giusto con la certezza che arriverà, ma non sarà quando lo vorremo noi, né quando ci sembrerà di averne bisogno assoluto… Arriverà quando saremo pronte, quando avremo smesso di cercarlo perché avremo accettato la necessità di morire. Soltanto accettando di morire possiamo rinascere. Aggrapparci e cercare a tutti i costi ciò che crediamo indispensabile, in realtà rallenta il cammino e lo rende più doloroso, perché ci impedisce di apprezzare ciò che ci offre il presente. Il Sorbo è portatore di una saggezza antica e il suo messaggio per noi è importantissimo e a volte difficile da accettare. Per questo lui ci protegge. Ci fa sapere che lui c’è, che ciò di cui abbiamo bisogno c’è, siamo noi che ci ostiniamo a non vederlo. Se prestiamo attenzione all’energia del Sorbo, possiamo sentire il Fuoco della Terra che non smette mai di ardere: un’energia stabile e sicura e mite, che supera il Tempo e mostra come rinascere significhi molto di più di ciò che siamo solite pensare. “La Primavera è già tornata” ci dice il Sorbo. “Sarebbe tornata comunque ed è già qui. Guarda, guarda bene. Ce l’hai fatta e ce la farai sempre, di nuovo. Abbi coraggio e fede. Non sei sola. Attraverso di me puoi riconnetterti al Fuoco che arde dentro di te e dentro la Terra, e lasciare che ti purifichi e ti prepari per un’alba nuova. Ogni cosa a suo tempo, lungo le linee della geometria sacra che sono le nostre vite, verso il centro. E il centro è ovunque.”

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Bibliografia:
-Adams M., The Wisdom of Trees, Head of Zeus Ltd, London 2014
-Angelini A., Il serto di Iside, Vol. I e II, Kemi, Milano 2008
-Bosch H., Satanassi L., Incontri con lo Spirito degli Alberi, Humus Edizioni, Sarsina 2012
-Brosse J., Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano1991
-Campanini E., Manuale pratico di gemmoterapia,  Tecniche Nuove, Milano 2005
-Campanini E., Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, Tecniche Nuove, Milano 2004
-Cattabiani A., Florario, Mondadori, Milano 2013
-Gobel T., La configurazione dello spazio nel mondo degli alberi e dell’uomo, Editrice Antroposofica, Milano 2011
-Graves R., La Dea Bianca, Adelphi, Milano 2001
-Hageneder F., Lo spirito degli alberi, Crisalide, Latina 2001
-Kranich E.M., Il linguaggio delle forme vegetali, Editrice Antroposofica, Milano 2010
-Lightfoot J., Flora Scotica, B.White, London 1777 (versione digitale)
-Motti R., Botanica sistematica e forestale, Liguori Editore 2010
-Pelikan W., Le piante medicinali Vol. I, II, III, Natura e Cultura Editrice, Alassio 1999
-Spohn M. e R., Guida agli alberi d’Europa, Franco Muzzio, Roma 2011
-Stone M., Quando Dio era una donna, Venexia, Roma 2011
-Tudge C., The Tree, Three Rivers Press, New York 2005
-Wohlleben P., La vita segreta degli alberi, Macro Edizioni, Cesena 2016

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Tasso: l’incontro con il lato oscuro

Nome: Taxus baccata L., famiglia delle Taxaceae

Il nome deriva dal greco toxon, che significa “arco”, e ha la stessa radice dell’aggettivo toxicon, velenoso.

In effetti, quasi ogni parte di quest’albero, eccetto l’arillo rosso che circonda lo scuro seme, è velenosa per uomini e animali domestici per via della taxina, uno dei veleni più potenti esistenti in natura, un alcaloide in grado di uccidere tramite collasso cardiovascolare. Gli animali in assoluto più sensibili alla taxina sono i cavalli,  a un uomo bastano pochi grammi di veleno per morire, mentre i cervi sembrano potersi nutrire delle velenosissime foglie senza problemi. Gli uccelli ne mangiano i frutti, consumando l’arillo rosso (cihamato di solito “bacca” impropriamente), restituendo intatto il velenosissimo seme alla terra. La parte in assoluto più tossica dell’albero sono le foglie, soprattutto quando secche.

Dal suo essere così velenoso deriva in parte un altro nome con cui il Tasso è noto, e cioè: Albero della Morte.

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Botanica:

Il Tasso è una pianta sempreverde appartenente a una famiglia piccola e isolata della gimnosperme, le Taxaceae. Il tronco raramente supera i 15 metri e le foglie assomigliano un po’ a quelle dell’Abete bianco: sono lineari, appiattite, un poco falcate, acuminate ma non pungenti perché tenere, e si distribuiscono a spirale attorno ai rametti.

La sua patria si estende verso nord fino all’Irlanda e alla Norvegia, verso sud fino ai monti dell’Europa meridionale e del Nord Africa e verso est fino all’Asia minore e al Caucaso. Cresce soprattutto nel sottobosco di faggeti o di boschi frondiferi misti. E’ un albero amante dell’ombra.

Gli esemplari selvatici sono stati pesantemente decimati dall’eccessivo sfruttamento dell’uomo e dalla distruzione dei nuovi germogli da parte dei cervi. Il Tasso, come l’Abete rosso, è sensibile alle gelate intense.

Dai tronchi danneggiati crescono nuovi rami verticali che si sviluppano intorno al tronco stesso formando uno pseudo-fusto. Per questa ragione, nella sezione trasversale mancano spesso anelli annuali univoci, complicando la determinazione dell’età. La sua corteccia è bruno-rossastra e tende a disfarsi in scaglie. Ma mentre il nucleo centrale del tronco, con il passare degli anni (si tratta di una pianta particolarmente longeva), lentamente marcisce, strati di nuovo tessuto inglobano il vecchio legno morto proteggendolo e rinforzandolo. Il Tasso si rinnova dall’esterno verso l’interno. La crescita tiene il passo con il disfacimento. Raggiunto il disfacimento completo, il Tasso può risorgere. Non ci sono ragioni biologiche per cui un Tasso muoia. Un effetto di questo processo è che nessuna parte di un Tasso è vecchia come l’intero albero, perciò la datazione con il carbonio è impossibile e, non essendoci nemmeno anelli da contare, per lungo tempo la vera età dei Tassi è rimasta avvolta nel mistero e fino agli anni ’80 si riteneva che quest’albero non potesse superare gli 800 anni.

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Il Tasso di Fortingall

Quest’ipotesi venne però rivista in seguito alle ricerche di Alan Mitchell e David Bellamy, famoso botanico inglese. A Tantridge, nel Surrey, fu scoperto un Tasso molto antico a circa 8 metri di distanza dalla chiesa locale, che ha fondamenta sassoni. Nella cripta si può chiaramente vedere  che la volta di pietra fu costruita dai Sassoni attorno le radici dell’albero. Dopo aver raggiunto la maturità, i Tassi smettono di crescere in altezza e le radici aumentano di diametro in modo straordinariamente lento. Queste scoperte provano non solo il rispetto che i Sassoni avevano per quest’albero ma anche che esso 1000 anni fa era già completamente adulto. Attualmente si ritiene che abbia più di 2500 anni.

Come spiega Fred Hageneder nel suo stupendo libro Lo spirito degli alberi, la rivalutazione dell’età dei Tassi nelle Isole Britanniche è stata coordinata dal Conservation Found di Londra, che ha identificato 413 Tassi che hanno più di 1000 anni. Molti hanno il doppio o il triplo di quest’età, e alcuni hanno un’età di 4-5000 anni. Il più vecchio, il cui seme dev’essere germinato nella tundra post-glaciale circa 8000 anni fa, si trova a Fortingall, in Scozia. Potrebbe trattarsi dell’albero più antico al mondo.

Mentre le conifere sono in genere ermafrodite, i Tassi sono sia di sesso maschile che di sesso femminile, anche se esistono alberi bisessuati, o che a un certo punto della loro vita sviluppano rami su cui crescono fiori di sesso opposto, proprio come nel caso del Tasso di Fortingall, un albero maschio che recentemente ha sviluppato rami su cui crescono fiori femminili e frutti.

Questo ci mostra non solo la grande vitalità e la capacità di rinnovamento di questi alberi, anche se vecchissimi, ma anche la loro capacità di trascendere le categorie, collocandosi al di fuori del tempo. I Tassi sono creature che mutano con il fluire dell’energia, trasformandosi di continuo, lentissimamente.

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I fiori maschili sono piccole strutture globulari situate singolarmente sull’ascella della foglia, sotto i rami dell’anno precedente, mentre i fiori femminili, sistemati in una posizione simile, sono fiorellini verdi che si espandono dopo l’impollinazione. Il seme è duro, di colore nero-verde e circondato da un arillo la cui forma ricorda una coppa. Verde all’inizio e rosso brillante a maturazione, l’arillo è polposo, dolce ed è l’unica parte non velenosa dell’albero. I semi vengono propagati dagli uccelli, che mangiano il frutto polposo senza intaccare il seme (velenoso) ma restituendolo alla terra intatto.

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Albero dal portamento cespuglioso, che nei rari casi in cui cresce isolato sviluppa una chioma globosa, il Tasso è un albero dall’incredibile vitalità, con varie modalità di riproduzione: in primavera i fiori maschi riempiono l’aria di polline (anch’esso leggermente velenoso) per raggiungere i fiori femminili e inseminarli; il tronco può facilmente produrre nuovi germogli dopo essere stato tagliato o danneggiato da una tempesta e i polloni radicali rappresentano un ulteriore e molto efficace metodo di propagazione. Il Tasso però ha anche una terza forma di riproduzione, molto rara in piante non tropicali, e cioè la margottatura. Un ramo di qualsiasi dimensione può estendersi fino al terreno e mettere radici. La funzione di questo processo sarebbe quella di fornire un sostegno ai rami in continua crescita, ma la nuova radice produce anche giovani germogli, che si dirigono verso l’alto divenendo essi stessi nuovi alberi. Questo accade in tutte le direzioni, cosicché intorno all’albero madre si forma un anello o un boschetto di nuovi alberi facenti tutti parte della pianta originaria.

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Questa caratteristica rende il Tasso un albero particolarissimo, dotato di un Io plurale; una creatura antichissima che si muove e cresce con tempi quasi più simili al quelli dei minerali che della materia organica. E come Gaia, il Tasso può non morire mai (a meno che una disgrazia o l’uomo non ci metta lo zampino), ma rinnovarsi di continuo e cambiare attraverso le ere.

Mitologia e storia:

Il Tasso è albero celebre sin dall’antichità, e da sempre è stato associato dall’uomo ai concetti di morte e, al tempo stesso, di eternità. I due concetti solo apparentemente opposti nel Tasso si fondono e vengono trascesi: la morte diviene un momento di buio e di passaggio verso la rinascita. La morte è un cambiamento di forma.

Albero spesso presente presso i siti sacri dei Celti (Fortingall, Carn nam Marbh, Newgrange, Stonhenge, Avebury), diviene in epoca cristiana anche un ospite quasi fisso dei cimiteri, o meglio, molte chiese e cimiteri vengono costruiti nei pressi di uno o più Tassi perché, consapevolmente o meno, gli uomini sentivano il messaggio di questi alberi, che contribuiscono a catalizzare l’energia sacra dei luoghi in cui scelgono di crescere.

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Il manufatto ligneo più antico del mondo è una lancia in legno di Tasso rinvenuta a Clacton, nell’Essex, e che risale approssimativamente al 150.000 a.C. Un’altra lancia di Tasso, risalente circa al 90.000 a.C., è stata trovata tra le costole di un mammut in Bassa Sassonia. Il legno dell’arco, forte e al tempo stesso flessibile, fu ampiamente utilizzato in passato e fino a tutto il Medioevo per la costruzione di archi, e quest’usanza contribuì grandemente a decimare il numero di questi alberi, che un tempo erano molto più diffusi di oggi. E’ in legno di Tasso l’arco del celebre “Uomo venuto dal ghiaccio” o “Otzi”, la cui mummia venne trovata al confine tra Italia e Austria, sulle Alpi Venoste, vicino al ghiacciaio del Similaun, nel 1991.

Si tratta del corpo di un essere umano di sesso maschile risalente a un’epoca tra il 3300 e il 3100 a.C. (Età del Rame), conservatosi grazie alle particolari condizioni climatiche presenti all’interno del ghiacciaio. L’uomo è alto 1.55 m, con il corpo coperto da tatuaggi che sembrano percorrere la mappa dei meridiani della medicina tradizionale cinese. Il suo arco di Tasso misura invece 1.80 m.

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Oltre ad archi e lance, scavi archeologici condotti in siti di varie epoche (dall’Eta del Bronzo al Medioevo) hanno riportato alla luce talismani in legno di Tasso, alcuni dei quali recanti formule di protezione.

Cesare, nel Libro VI del De Bello Gallico racconta che Catuvolco, capo della tribù degli Eburoni (che significa “popolo del Tasso”), sfinito dagli anni e dalla guerra si tolse la vita con il veleno di Tasso.

Shakespeare nel Macbeth (atto terzo, scena prima) nel diabolico intruglio che le streghe stanno preparando fa mettere “…talee di Tasso/colte mentre le Luna è in eclisse…”; e sempre dal Tasso proviene il veleno che nell’Amleto Claudio versa nell’orecchio del re suo fratello per farlo morire.

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La runa norrena Eihwaz rappresenta il Tasso (soltanto un’altra runa è collegata così strettamente a un albero: Berkana, la Betulla). Ehiwaz ha forma di gancio, e rappresenta il passaggio tra un mondo e l’altro, il viaggio sciamanico, il collegamento fra le dimensioni dell’essere, e al tempo stesso l’inverno, la ferita inguaribile, la prova iniziatica.

Si tratta di una runa dal significato complesso, che ci parla di perseveranza e pazienza, rappresentando in un certo senso la discesa agli inferi (che non sono altro che il nostro lato oscuro) e l’incontro con le avversità. Solo imparando a trasformare le difficoltà in qualcosa di positivo, trovando nuove soluzioni a problemi vecchi, potremo infatti riuscire a integrare il nostro lato oscuro, attraversano il gelido inverno e tornando alla luce completamente rinnovati e al tempo stesso nutriti dalla stessa antichissima radice.

Nel suo libro Arboreto salvatico, Mario Rigoni Stern racconta di una costa scoscesa, alta sopra il mare di Liguria, ove un suo amico un giorno, andando alla ricerca di fossili, ha scoperto tra le cavità di una roccia un minuscolo bosco di una trentina di Tassi che vivono con qualche goccia d’acqua su pochissima terra e non raggiungono l’altezza di quaranta centimetri ma i cui tronchi, esaminati, hanno dimostrato di avere centocinquanta anni!

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Il Tasso è da sempre associato all’Inverno e in particolare al periodo del Solstizio: il momento più scuro dell’anno, in cui la Natura sembra morta e il Sole piccolo e debole. La forza e la resilienza del Tasso, albero amante dell’ombra e dell’oscurità, da sempre visto come custode dei morti, ci forniscono una lezione preziosissima su come affrontare il nostro buio; le sue bacche rosse nutrono gli uccelli e occhieggiano dai rami verde scuro segnalando l’energia di fuoco distillata dall’albero come una promessa di rinascita.

Il Tasso rappresenta il momento più buio dell’anno, il periodo più oscuro della nostra vita, il nostro lato ombra. Tutto ciò che crediamo di non poter accettare, tutto ciò che condanniamo e che ci avvelena dentro. Il Tasso rappresenta innanzitutto la paura di morire, madre di tutte le nostre paure, e al tempo stesso rappresenta l’antidoto definitivo alla morte.

Fitoterapia:

Governato dall’energia di Saturno, il Tasso è conosciuto per la sua tossicità. I principi tossici sono localizzati principalmente nei semi e sono costituiti da alcaloidi: la taxina e, in tracce, l’efedrina.

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E quale proprietà potrebbe essere più appropriata, per un albero della morte in molti sensi, che la capacità di combattere il cancro, impedendo alle cellule tumorali di riprodursi? Il Tasso ci aiuta ad attraversare i momenti più oscuri della vita, affrontando i mostri. Ci insegna che non esiste nulla a cui non si possa sopravvivere, cambiando forma, rinnovandosi. Se il tuo Io è malato, dai vita a un altro Io. Questo ci dice il Tasso. Ci dice che è possibile, su una radice antica, continuare a rinascere.

Negli ultimi anni la ricerca è riuscita a isolare dalla corteccia del fusto del Taxus brevifolia Nutt. alcuni diterpeni, tra cui il taxolo, che ha dimostrato di possedere un’elevata attività antimitotica. Il taxolo si è dimostrato utile contro un ampio spettro di malattie tumorali umane (leucemia, melanoma, cancro mammario, ovarico e polmonare). Questo composto a base di taxolo, conosciuto come paclitaxel, ha dimostrato di contribuire significativamente nella terapia del carcinoma ovarico epiteliale.

Attualmente però, sia per ragioni ecologiche (ridottissima quantità di taxolo presente nella corteccia = elevata quantità di alberi da abbattere), sia per problemi tossicologici (reazioni di ipersensibilità al prodotto, ulcerazioni del tubo digerente,…), si è riusciti a sintetizzare il principio attivo partendo da un suo precursore naturale estraibile dalle foglie rinnovabili di Taxus baccata: il docetaxel. Questo derivato dimostra di essere particolarmente efficace nel trattamento del cancro mammario metastatizzato resistente alle antracicline.

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In caso di intossicazione da taxina, appaiono in una prima fase sintomi digestivi (vomito e diarrea), sintomi nervosi (tremori, alterazioni della vista, midriasi, vertigini) ed ecchimosi; compare quindi eccitazione seguita da depressione, dispnea ingravescente, ipotensione e bradicardia, infine coma con segni convulsivi e collasso cardiovascolare (il tutto in 30 minuti dall’inizio delle manifestazioni).

L’energia del Tasso:

L’energia del Tasso è sottile e non immediata da cogliere, o almeno così è stato per me. Come se si trattasse di un animale gigantesco che si muove lentissimamente, come una creatura connessa ad altre dimensioni dell’Essere, a un’altra forma di tempo, e che comunica con un linguaggio lontanissimo.

Ma una volta entrati in contatto, una volta connessi all’energia del Tasso, questa non ci lascerà più. Continuerà a lavorare con noi e in noi anche nei giorni a seguire, nelle settimane, come una voce che ci sussurra dentro il suo messaggio.

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Il Tasso ci parla di morte e rinascita in un modo unico e profondamente trasformante. La morte per quest’albero non è un fatto che accade in un preciso punto del tempo, ma un processo diffuso, prolungato, che pervade ogni aspetto della vita. Così in effetti è la morte per tutti, solo che noi tendiamo invece, come sempre, a suddividere tramite la mente razionale, confinando l’evento morte in un istante determinato.

La morte è la vita che si trasforma. Questo ci dice il Tasso, ma non solo. Il Tasso ci parla anche di un senso più ampio di intendere la morte, simbolico e psicologico. All’ombra dei Tassi, avvolti dalla sua energia venefica e indecifrabile, ci troviamo di fronte al nostro lato oscuro: quella parte buia di noi, l’inverno dei nostri cuori che abbiamo sempre scelto di evitare o ignorare o rifiutare.

Il nostro lato oscuro, tutto ciò che noi non possiamo accettare di noi stessi, il veleno che ci fa paura, è l’inferno spalancato dentro di noi. E ognuno di noi, prima o poi, durante il suo percorso di vita e di crescita si troverà a dover affrontare il suo viaggio agli inferi, alla scoperta della morte che regna nel suo Io.

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Inanna, dea sumera che affrontò la discesa nell’Ade

La discesa nell’Ade tanto sovente rappresentata nella mitologia e nella letteratura altro non è, su un piano metaforico, che una discesa dentro i lati oscuri del proprio Sé, alla scoperta degli archetipi rigettati, dimenticati, condannati. Scendiamo negli inferi per incontrare la nostra metà della mela, ovvero non qualcun altro ma esattamente noi stessi, quella parte di noi che ci manca per essere completi. Quando ci troviamo di fronte al nero specchio che il nostro lato oscuro ci pone di fronte, sta a noi scegliere cosa fare. Se scappare e continuare a vagare nel limbo, se spaccare lo specchio e distruggere così anche noi stessi, o se guardarci negli occhi, guardare negli occhi la nostra metà orribile (che è divenuta tale solo per mancanza di amore e accettazione) e riconoscerla come parte di noi. La luce non può esistere senza l’ombra. Perché continuiamo a dimenticarcene? Il lato oscuro è parte fondamentale di un essere completo, è la sua metà, è funzionale al suo benessere, è il corpo dell’iceberg sommerso, che permette alla punta di galleggiare.

Incontrare il proprio lato oscuro è un’esperienza profonda e difficile. E il Tasso ci offre ancora, con la sua energia nera e splendente, la chiave per comprendere come attraversare gli inferi. Come è possibile non morire mai se, in effetti, ogni giorno moriamo un po’? Il Tasso ci risponde, con voce sussurrata e roca, che la morte non esiste, almeno non così come la intendiamo noi. La morte è trasformazione. Noi temiamo la morte perché pensiamo di essere un Io individuale e ci identifichiamo con la nostra personalità singolare, che riteniamo unica. Il punto è proprio qui: noi siamo plurali. E a dircelo è proprio il lato oscuro, che ci mostra come al di sotto del pelo dell’acqua ci sia il regno del caos, popolato da migliaia di voci e forme possibili. Tutto questo siamo noi e anche di più. Noi siamo fatti della stessa sostanza di Akasha, il campo di informazioni cosmico ove è registrato ogni evento, ogni cellula, ogni frequenza dall’inizio dei tempi, se mai vi fu un inizio. Nelle nostre cellule è contenuta una capacità di rinnovamento che va oltre i limiti della nostra immaginazione.

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Quando ci troviamo a confronto con il nostro lato oscuro dobbiamo abbracciarlo, anche se ciò ci disgusta, perché sarà proprio lui a innescare il processo di trasformazione che ci farà rinascere. Lasciamo crescere più parti di noi, sviluppiamo i getti più giovani, e piano piano alleggeriamo il nostro cuore, fino a che dentro saremo cavi, vuoti come il tronco di un Tasso millenario, aperto al vento, alla luce, cassa armonica per la sinfonia delle stelle.

Radici antiche, fusti sempre nuovi, un Io plurale eternamente giovane e la consuetudine al veleno, che ci protegge e combatte la morte a sua volta. Soltanto divenendo come il Tasso, provando a sintonizzarci sull’enormità della sua percezione del tempo, potremo giungere a immaginare come deve essere la vita di Gaia, la biosfera, quell’enorme animale che da miliardi di anni vive in simbiosi con il pianeta Terra. Quell’animale di cui noi stessi facciamo parte, come estreme propaggini sensoriali e cognitive, collaborando insieme al resto dell’organismo all’evoluzione della coscienza planetaria.

Il Tasso è un albero di grande saggezza e comprensione. La sua è un’energia difficile. Non per niente le rune norrene associano Eiwhaz al viaggio sciamanico, al passaggio tra le diverse dimensioni e alla ferita primordiale, ovvero quella ferita che ogni vero sciamano reca nel corpo o nell’anima, una ferita inguaribile che causa dolore ma al tempo stesso costituisce un’apertura, un ingresso magico alla coscienza cosmica.

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Non siamo noi a scegliere il Tasso, è lui a scegliere noi. A un certo punto della nostra vita lo incontreremo e da quel momento in avanti nulla sarà più lo stesso. Per fortuna. Tutto assumerà una profondità che prima non sospettavamo, anche grazie al dolore e all’ombra che invaderà i nostri occhi. Quando ci troveremo in quel luogo, potremo chiedere aiuto al Tasso e ispirarci al suo messaggio: nulla muore, tutto si trasforma, il lato oscuro è la parte più viva della vita, la morte è una terra misteriosa, un’avventura che ci conduce a una nuova vita, in una nuova forma. Finché non accetteremo questo, non potremo andare avanti e gli stessi errori, lo stesso percorso continuerà a riproporsi sempre. Il lato oscuro è la via obbligata alla luce.

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-Brosse J., Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano1991

-Campanini E., Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, Tecniche Nuove, Milano 2004

-Cattabiani A., Florario, Mondadori, Milano 2013

-Frazer J., Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino 2012

-Gaio Giulio Cesare, Le Guerre in Gallia – De Bello Gallico, Mondadori, Milano 1992

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-Hageneder F., Lo spirito degli alberi, Crisalide, Latina 2001

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-Paterson J.M., Tree Wisdom, Thorsons, London 1996

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-Spohn M. e R., Guida agli alberi d’Europa, Franco Muzzio, Roma 2011

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Betulla: la Triplice Dea dei Nuovi Inizi

Nome: Betula pendula (o alba), famiglia delle Betulaceae.

Il nome latino è una forma vezzeggiativa del nome gaelico dell’albero: beith.

Il nome inglese invece, birch, così come il vichingo birk e l’antico alto tedesco birka derivano molto probabilmente dalla radice indoeuropea bher(e)g, da cui tra l’altro deriva anche il sanscrito bhurja, e che significa “brillare”, oppure “bianco, splendente”.

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Botanica: Tutte le Betulle provengono dall’emisfero nord della Terra. Il rimboschimento dopo l’era glaciale iniziò proprio dalle Betulle. Oggi la Betulla bianca cresce quasi in tutta Europa. Nelle radure forestali è lei ad avviare la successione ma n genere finisce per soccombere alla concorrenza di altre specie arboree. Solo su lande e aree isolate riesce ad affermarsi in modo duraturo. La sua altezza non supera quasi mai i 25 metri.  Ha una chioma leggera di foglie dalla forma di asso di carta da gioco (da romboidale a rotonda-triangolare) che compaiono molto presto in primavera (la Betulla e il Sambuco sono i primi a mettere le foglie). Contemporaneamente alle foglie, sui suoi rami flessuosi compaiono anche i fiori, su ogni albero sia maschili che femminili. Gli amenti maschili sono penduli e si sviluppano sui rami dell’anno precedente, mentre quelli femminili, rivolti verso l’alto, crescono sui rami dell’anno in corso. Il polline della Betulla (a cui non poche persone sono allergiche) è abbondante e polveroso e si diffonde facilmente tramite il vento.

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Dopo che il fiore femminile è stato impollinato, l’amento fruttifero giunto a maturazione si disgrega, liberando piccole noci fornite di due ali che possono raggiungere lunghe distanza con l’aiuto del vento, colonizzando velocemente vaste aree. Solo con il tempo, però, le Betulle creano dense foreste. I compagni preferiti sotto la loro chioma leggera sono i prati e in seguito, quando il terreno lo permette, come per esempio le Querce. Poiché non vive molto a lungo (80, 100 o al massimo 120 anni), e poiché molti germogli avvizziscono sotto l’albero madre, sempre nuovamente la Betulla lascia spazio ad altri alberi, dopo aver migliorato il terreno in loro favori tramite le sue foglie che già alla fine dell’estate ingialliscono e cadono al suolo facilmente, formando una coperta fertilizzante per la Terra; e grazie alle sue radici sottili e sensibili che arieggiano il terreno, scambiando energia e ospitando micorrize e altre creature del suolo.

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Il legno della Betulla è duttile e leggero ma al tempo stesso resistente: questo lo rende adatto alla costruzione di mobili, attrezzi sportivi come gli sci, ed eliche. Anche il fuoco che produce è molto utile, perché si accende con facilità, anche se fresco (per via della presenza abbondante di catrame nella corteccia) e può bruciare in campo aperto senza produrre scintille.

Oltre alla chioma ariosa di foglie singole e generalmente minute, quasi cuoriformi, che vibrano al vento, un’altra importante caratteristica distintiva della betulla è senza dubbio la sua corteccia magnifica, tipicamente bianca cartacea a strisce orizzontali, con squarci neri di forma diamantata (in altre varietà di Betulla si può trovare anche marrone o addirittura nera però), ricca di catrame che la rende buona da bruciare ma anche impermeabile. Per questo veniva impiegata dai Nativi Americani per la costruzione dei tetti delle loro abitazioni, le wigwam, o per la costruzione di canoe. Anche le popolazioni del Nord Europa ne facevano e ne fanno tutt’oggi uso per la coibentazione dei tetti delle abitazioni tradizionali.

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Il colore bianco della corteccia, che ricopre un il colore rosso che sta al di sotto, è dovuto a cristalli di betullina incolori, che riflettono la luce del sole insieme all’aria contenuta nelle cellule.

I suoi rami principali crescono in verticale, mentre quelli secondari sono penduli. Tutti i rami durante l’inverno acquistano una tonalità violacea e sono ricoperti di uno strato di cera viola che dà alla Betulla una grande resistenza al freddo e al brutto tempo.

Mentre il legno di Betulla marcisce piuttosto in fretta, la corteccia si può conservare molto più a lungo. Per questa ragione può capitare di trovare, nei boschi, cilindri di corteccia di Betulla svuotati del loro contenuto.

Essendo un albero pioniere, la Betulla riesce a colonizzare bene i terreni incolti o che sono stati devastati da incendi. Può crescere su terreni pietrosi, sabbiosi e brughiere acide. Il suo sistema di radici poco profonde indica che non si aspetta molto dal suolo. I pochi minerali di cui ha bisogno vengono elaborati dai funghi che spesso le fanno gradita compagnia.

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La Betulla è un albero con un alto grado di adattabilità, che ben sopporta terreni umidi (grazie al fatto che le sue radici, non andando in profondità, non soffrono di asfissia a causa dell’acqua), acidi, brulli, poveri. E’ molto fertile e produce molti semi che sparge grazie all’aiuto del vento. E’ una coraggiosa colonizzatrice di terre estreme, una portatrice di vita. L’unica cosa di cui non può fare a meno è la luce. La luce che dona il colore al suo tronco e che fa danzare le sue foglie. La Betulla non sopravvive infatti in contesti boschivi troppo bui, se altri alberi crescono troppo vicino a lei, soccombe. O meglio, i suoi semi volano altrove, alla ricerca di nuove lande da fecondare, nuove terre in cui aprirsi alla luce e riflettere la sua gioia tutt’intorno.

Tuttavia non sono rari i boschi di Betulle, in cui i tronchi aggraziati di questi alberi crescono uno di fianco all’altro come sorelle. Le cortecce bianche donano un aspetto fantasmagorico a questi boschi, un’atmosfera fatata. Non per niente la betulla viene anche chiamata la Signora Bianca e in Irlanda e nel Galles è spesso associata al mondo delle Fate o all’altro mondo, Tir na nOg.

Spesso infine, si trovano anche Betulle gemelle, cresciute a gruppi di due o, più di frequente, tre tronchi con base comune.

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Trovare tre Betulle “siamesi” ha sempre qualcosa di magico: la Betulla infatti è un albero strettamente legato al culto del femminile e della Grande Dea, soprattutto nella sua forma triplice: Bianca, Rossa e Nera. La corteccia della betulla presenta tutti e tre i colori della Dea e quindi incontrare tre Betulle gemelle indica chiaramente che si è in presenza di una manifestazione della Dea e che il luogo in cui ci si trova è sacro.

Mitologia e storia: La Betulla è considerata un albero sacro presso numerose civiltà dell’emisfero boreale ed è da sempre stata una compagna fidata e ispiratrice dell’uomo.

Da un lato è l’albero sciamanico per eccellenza presso varie tribù siberiane, come i Buriati e i Samoiedi Avam, protagonista dei rituali di iniziazione sacri e vista come una scala su cui arrampicarsi per entrare nell’Altromondo, il mondo dei Morti e degli Spiriti dove il corpo dell’aspirante sciamano sarebbe stato fatto a pezzi, cucinato e rimesso insieme in modo diverso, ora dotato di poteri di guarigione e di una sapienza misterica; segnato per sempre da una ferita inguaribile che lo separa dal resto dell’umanità ma al tempo stesso gli dona una seconda Vista, un secondo Udito, la capacità di comunicare con gli Spiriti, di viaggiare nel tempo  nello spazio, superando la morte per recuperare frammenti di anime andati perduti, schegge di conoscenza nascoste fra i mondi. Lo sciamano è una creatura a metà fra l’aldiqua e l’aldilà, fra la vita e la morte. Non è più un uomo normale ma è un mago, in grado di influenzare la Realtà con la sua mente, che ha superato il concetto di separazione, di limite, e pertanto può qualsiasi cosa, poiché è in intimo contatto con le forse della Natura, è un tutt’uno con esse e ne è profondamente consapevole.

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La Betulla è la madrina dei rituali iniziatici degli sciamani siberiani, che la considerano l’asse del mondo, nonostante non sia un albero di grandi dimensioni. Ma la Betulla è anche un albero-fantasma, un albero-spirito, permeata di luce e aria, bianca e ricoperta di occhi neri, stagliata sola in mezzo a campi di neve, riflettendo la luce con la sua corteccia che si squama come il corpo di un serpente e le sua foglie che tremano al minimo soffio di vento. E’ un albero di confine, la cui chioma che balugina controluce sotto i cieli del Nord può apparire come un occhio che si apre e si chiude, come una porta per un altra dimensione. E’ facile quindi comprendere come mai gli sciamani siberiani le identificano come una scala che conduce nell’Altromondo. Una volta in cime a una Betulla, si scompare nella Luce.

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Oltre a comparire nei rituali, la Betulla compare come albero magico anche in numerosi sogni iniziatici in cui il futuro sciamano, affetto da una malattia apparentemente incurabile e da febbre alta, viene trasportato in viaggi astrali durante i quali incontra gli Spiriti dell’aldilà che gli insegnano a curare.

Il legno di Betulla ha inoltre la caratteristica di modulare molto bene i toni alti con quelli bassi e per questa ragione viene spesso usato, fin dall’antichità, come legno per costruire tamburi.

Questa qualità di albero limitare, di confine tra i mondi, caratterizza la Betulla anche presso le culture di origine celtica, dove è considerata un albero delle fate, nei pressi del quali dimorano spiriti magici o spettri.

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Oltre ad essere l’albero degli sciamani, la betulla è però anche l’albero della Grande Dea, in moltissime culture associata al principio femminile, probabilmente per via della sua grazia e leggerezza, della sua grande fertilità, del suo coraggio e della sua forza, del suo amore per la luce.

E’ un albero consolatorio, generoso, dotato di un grande slancio vitale.

E’ l’albero di Freya, dea della fecondità e dell’amore presso la cultura norrena; di Venere presso i Romani; di Berchta, di Brigit, di Ostara, di Cerridwen; Sarasvati, dea hindu delle acque, viene spesso rappresentata seduta a gambe incrociate su un fiore di loto, con in una delle mani una corteccia di Betulla su cui sono scritti versi dei Veda.

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Infatti, la corteccia di Betulla, per via della facilità con cui si stacca dal tronco e della sua conservabilità, è stato uno dei più antichi supporti per la scrittura in Russia e nel nord dell’India. I più antichi reperti dei Veda che abbiamo sono scritti su corteccia di Betulla.

Durante Beltane, una delle quattro feste stagionali celtiche che si celebrava il 1 maggio di ogni anno, le coppie di amanti andavano a fare l’amore nei boschi di betulle.

Sempre durante la festa della Primavera oppure della Pentecoste, i giovani portavano ghirlande di Betulla alle ragazze che amavano.

La Runa Berkana deriva il suo nome dalla Betulla, la cui energia rappresenta. Berkana è il principio femminile di maternità ed eterna fluidità, di nascita e rinascita; è l’anima della Natura, il Nuovo Inizio, la concretizzazione.

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Beith è inoltre la prima lettera dell’alfabeto arboreo oghamico.

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Ma oltre ad essere simbolo di Amore, di fluidità e di rinascita, di forza palingenetica che riporta la vita sulle ceneri degli incendi, la Betulla è allo stesso tempo anche simbolo di vecchiaia e di morte. Il bianco della sua corteccia, che fa apparire il suo tronco come un fantasma, e il suo ruolo di guardiana del confine tra la vita e la morte, la rendono protettrice delle soglie, saggia megera dai capelli candidi che non teme la morte perché sa di essere immortale;  la Perchta, vecchia madre sapiente, che custodisce i segreti della femminilità e protegge donne e bambini.

A questo aspetto è legato il suo potere purificatore: il mese della Betulla inizia il 1 novembre, con Samhain, la festa stagionale che segna l’inizio dell’anno lunare, il capodanno celtico. A Samhain le porte fra i mondi si aprono ed è possibile incontrare spiriti guida e spettri. Inoltre, a Samhain (durante la prima luna nuova dopo il 1 novembre) la Terra viene investita da una grande energia di purificazione, preparandosi ad attraversare l’inverno.

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Scope di rami di Betulla (non strappati dagli alberi ma raccolti da terra con rispetto, chiedendo all’albero madre il permesso di poterli utilizzare) venivano usate e vengono usate tutt’oggi per spazzare il pavimento scacciando le energie negative, ripulendo e purificando l’aura del luogo.

Nella saune dell’Europa del nord si usa ancora frustare dorsi e gambe delle persone con rami di Betulla, per favorire la circolazione.

La linfa di Betulla, che si raccoglie a inizio primavera da fori praticati nel suo tronco, è un rimedio per drenare e per purificare il sangue.

Inoltre la Betulla è da sempre connessa alla Triplice Dea (presente in tutte le culture indoeuropee fin dal Neolitico), sia per via della sue spiccate qualità di albero femminile, sia per via dei tre colori della sua corteccia (bianco, rosso e nero, come i colori della Dea giovane, matura e vecchia), sia per via del fatto che spesso si possono trovare gruppi di tre Betulle cresciute dallo stesso ceppo, che segnano luoghi sacri e costituiscono portali magici.

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La sua corteccia che si squama come la pelle di un serpente richiama anch’essa l’idea di morte e rinascita, di trasformazione, di nuovo inizio (abbandonare la pelle vecchia, ritornare giovani…) e contribuisce anche ad associarla alle immagini della Dea Serpente neolitica.

E’ l’albero nazionale di Finlandia e Russia.

Dove c’è tanta luce, c’è anche tanta ombra. E il potere della Betulla è proprio quello di non soccombere al lato oscuro ma di continuare a danzare la danza della vita, con grazia e sapiente leggerezza. E’ una vecchia, una vecchissima che però sembra sempre giovane. E’ il rinnovamento continuo, il morire e disseminarsi, scivolando in bilico tra Buio e Luce, scintillando.

Fitoterapia:

La Betulla è governata dal pianeta Venere (sistema linfatico, gola, larigne, corde vocali, reni, surreni) e in seconda istanza da Saturno (di nuovo le sue due anime!) ed è connessa alle potenzialità del segno Bilancia, che calibra in sé gli opposti, ma agisce efficacemente su tutti i segni ed è quindi da considerare una pianta delle più utili, da sempre molto importante per le popolazioni delle zone artiche e temperate.

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E’ uno dei diuretici e diaforetici più efficaci (soprattutto le foglie), in quanto è un potente eliminatore dei cloruri, dell’urea e dell’acido urico. Si impiega nei casi di reumatismi gottosi, litiasi urinarie, coliti nefritiche, albuminuria e applicata localmente con lavande nel caso di affezioni delle vie urinarie. E’ la pianta principe dei ricambi cellulari di sodio e potassio. Le foglie fresche sono più attive e ciò fa supporre che l’olio essenziali rinforzi l’attività diuretica.

Inoltre, l’estratto fluido, acquoso e secco ottenuto dalle foglie ha anche attività antibiotica.

E’ largamente impiegata nel trattamento della cellulite, favorendo l’eliminazione di acido urico e colesterolo e di conseguenza l’eliminazione e la scomparsa dei noduli fibroconnettivali.

Infusi di foglie di Betulla si usano, esternamente, contro la caduta dei capelli, mentre con la corteccia si possono preparare pediluvi utili contro il sudore profuso dei piedi.

Influendo sulle surrenali, la Betulla è anche un debole stimolante sessuale, ed è ottima ed efficace anche nei casi di ipercolesterolemia.

La corteccia e il legno di Betulla danno per distillazione secca un catrame che viene utilizzato nella cura delle affezioni cutanee. L’olio essenziale ottenuto dal catrame di Betulla si una in pomata (8%) contro il reumatismo e può essere impiegato in prodotti per il massaggio sportivo.

In Gemmoterapia è da segnalare la Linfa di Betulla (conosciuta come Betula verrucosa linfa), che contiene due eterosidi i quali liberano per via enzimatica salicilato di metile ad attività analgesica, antinfiammatoria e diuretica. Nel trattamento dell’iperglicemia può essere considerata rimedio principe, in quanto la sua assunzione regolare per due o tre mesi ne permette la riduzione del 20-30%: si riesce così a ottenere una diminuzione non solo del rischio vascolare, ma anche articolare, sempre presente nell’uricemia. Per l’aumentata attività diuretica che determina, può anch’essa essere utilizzata nel trattamento delle litiasi urinarie.

L’indicazione principale per la linfa di Betulla è comunque quella riguardante il trattamento della cellulite, ove riduce l’impastamento e la componente dolorosa oltre a contrastare, grazie all’aumento della diuresi, la ritenzione idrica. Per queste peculiarità e per l’attività ipocolesterolemizzante, la linfa di Betulla rientra anche nei protocolli terapeutici per il trattamento del sovrappeso.

La linfa di Betulla viene raccolta con una tecnica particolare: all’inizio del mese di marzo, durante la montata di linfa primaverile, si praticano nelle Betulle adulte, che crescono in zone boschive, e di preferenza sulla parte del tronco esposta a sud, alcuni fori a circa un metro da terra, profondi da due a cinque centimetri, leggermente obliqui verso l’alto, nei quali si introduce un ubichino da cui la linfa defluisce nei recipienti posi a terra. La raccolta risulta più proficua quando le Betulle sono di media grandezza, crescono in luoghi elevati e l’inverno è stato rigido. Ricordiamoci, qualora volessimo tentare queste tecnica, di chiedere il permesso alla Betulla, di trattarla con rispetto e gentilezza ed esserle profondamente grati per il dono che ci sta facendo. Non abusiamo della sua generosità, tuteliamo al sua salute e integrità: la linfa è il suo sangue!

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In Gemmoterapia, oltre a Linfa di Betulla, si utilizzano anche altri gemmoderivati, tutti dalle magnifiche proprietà e preziosi per l’uomo. Eccone un breve elenco (Betula verrucosa Ehrart, Betula alba L. e Betula pendula Roth sono tre nomi differenti usati per indicare lo stesso albero):

Betula verrucosa gemme MGDH1: processi di natura infiammatoria o infettiva, disturbi della cresctia:

Betula verrucosa semi MGDH1: navrastenia da affaticamento intellettuale, depressione;

Betula pubescens amenti MGDH1: astenia sessuale, sovrappeso;

Betula pubescens gemme MGDH1: infezioni recidivanti delle vie aeree (azione immunostimolante), disturbi della crescita;

Betula pubescens radichette MGDH1: iperuricemia, ritenzione idrica, ipercolesterolemia.

Nel repertorio floreale alaskano c’è un’essenza che si ricava dai fiori di Betulla, in particolare quelli di Betula papyrifera, una specie di Betulla diffusa in Alaska, la cui corteccia tende a sfaldarsi in riccioli. Il rimedio, Paper Birch, è utile in tutte in quelle occasioni in cui ci sentiamo insicuri, non riusciamo a comprendere dove siamo sul nostro cammino, abbiamo difficoltà a prendere decisioni che incidono sul nostro cammino oppure quando non abbiamo sufficiente determinazione nel raggiungere in nostri obiettivi una volta che sono stati identificati e facciamo quello che gli altri vogliono che facciamo piuttosto che ciò che noi vogliamo fare.

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Paper Birch porta calma determinazione, salda consapevolezza dei propositi e una continuità di focalizzazione che viene da una connessione chiara e attiva con i livelli profondi del sé. Paper Birch rinnova la nostra prospettiva su ciò che stiamo facendo nella vita e introduce un’energia calmante, chiarificante e rilassante che ci aiuta a spostare l’obiettivo  dai pensieri caotici e dalle emozioni confuse alla pace e alla gioia che sono sempre presenti nel centro del nostro essere. Da questo luogo di consapevolezza siamo più capaci di prendere decisioni fondamentali nella nostra vita che supportino la verità di ciò che siamo.

Il messaggio di Paper Birch è “Sono attivamente connesso con i livelli più profondi del mio vero sé. Seguo il sentiero della mia vita con calma determinazione.”

L’energia della Betulla:

La Betulla è un albero che amo moltissimo. E’ uno spirito libero, l’incarnazione della libertà e della gioia di vivere. E’ coraggiosa, una pioniera, una vera e propria guerriera della luce la cui arma è però la leggerezza, la fluidità, la danza. E’ un’acrobata che percorre il confine fra Buio e Luce, è una Porta fra i Mondi che grazie alla sua profonda saggezza sa ridere, sdrammatizzare. La sua danza di gioia, la sua chioma che ondeggia nel vento, le sue foglie che cantano luce, i suoi rami flessuosi, il suo aspetto lieve di giovane ballerina non deve trarre in inganno: è proprio la sua grande sapienza, il suo conoscere i segreti per il passaggio tra le varie dimensioni, il suo vivere vicina al ricambio tra vita e morte, a renderla così “spensierata”. Come gli sciamani, che si dice ridano spesso, di quasi qualunque cosa: è perché conoscono la Realtà e sanno che non c’è nulla oltre la gioia. La gioia non è quindi segno di immaturità: chi danza davvero, come la Betulla, lo fa perché sa che non c’è nient’altro, oltre la danza.

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La danza della Betulla è la Danza della Vita, i suoi tronchi bianchi riempiono gli occhi di luce ma portano addosso anche squarci di nero, e sono proprio quegli squarci ad essere i loro occhi… Il bianco riflette la luce dell’aria, ma il nero assorbe, introietta. Nella Betulla troviamo il bianco, il nero e il rosso della Fertilità, una grande fiducia nella rigenerazione, nel mondo: la betulla sparge i suoi semi al vento, lasciando che questi, con il coraggio che deriva dalla gioia e la fiducia che nasce dalla forza e dalla saggezza, volino per il mondo e fecondino la Terra.

Dopo l’era glaciale, quando l’emisfero boreale non era che una landa umida e desolata, lunare, è stata lei, la Dama Bianca, a colonizzare i prati riempiendoli della sua luce, nutrendoli con la sua energia, trasformandoli in magnifici boschi.

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Quest’albero sottile, vicino al mondo degli spiriti, emana chiaramente due tipi di energia, che si fondono e confondono l’uno nell’altro: una è l’energia materna e accogliente, simpatica, della ragazza dei boschi. Incontrare durante le passeggiate i tronchi occhieggianti delle Betulle alleggerisce immediatamente l’animo, fa sentire accolti, a casa, tra le braccia delle proprie sorelle, allegre e al tempo stesso discrete. L’altra energia è quella fantasmagorica, spiritica, sempre richiamata dal colore bianco. Un bosco di Betulle, mentre sembra una famiglia di sorelle che accolgono, proprio al tempo stesso, contemporaneamente, sembra anche un bosco di fantasmi, di spiriti assiepati che osservano e proteggono la sacralità del luogo. Non spaventano, ma per un attimo fermano il cuore, facendoci riflettere sul fatto che l’Altromondo è molto più vicino di quanto siamo soliti credere, è proprio qui di fianco a noi, anzi, in mezzo a noi: pervade il nostro mondo, ci siamo dentro in questo preciso momento…

La Betulla è legata sia a Beltane, festa della primavera, che a Samhain, festa di purificazione, capodanno delle Streghe, cuore dell’inverno.

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E’ la grande Madre, la Sorella e la Vecchia Saggia.

Il suo aspetto muta, in alcuni momenti è un’anziana signora dai capelli candidi, in altri una giovane che danza con la chioma luminosa sciolta nel vento.

Il suo segreto sta nel cambiare pelle, nello sfaldarsi della sua corteccia, nel rinnovamento continuo e nel non attaccamento. La Betulla sa che la vita è un ciclo di morti e rinascite il cui cuore è il continuo mutamento, il ricambio, lo slancio che inizia le danze, la corsa verso la luce.

La sua potente energia protegge tutti i nuovi inizi, donando leggerezza e fiducia ma anche forza, coraggio, adattabilità e saggezza.

In ogni nuova impresa, quando dovete lasciare andare il vecchio per intraprendere il nuovo, fate come la Betulla, questa antica e bellissima Maestra: entrate in contatto con la fluidità tutta femminile e l’ispirazione che brilla dentro di voi, sentite la vita pulsare nel vostro centro, pulsare di gioia. Screpolate via la pelle morta dalle vostre membra, fate la muta, rinnovatevi da capo a piedi lasciando scivolare via da voi le cellule morte, le energie del passato. Fate una girandola tra Buio e Luce, lanciate per aria i vostri semi, affidandoli al Vento, espandetevi danzando senza paura, correte libere per i prati attraversando l’inverno certe del ritorno della Luce, felici anche nel Buio. Siate voi stesse a cambiare il mondo, con la vostra energia feconda. Tutto è possibile, basta non smettere di danzare, anche quando sembra di essere immobili. La danza è nella luce degli occhi, nell’aria che respiriamo, e nutre ogni nostra cellula di gioia immensa.

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“I’d like to get away from earth awhile

And then come back to it and begin over.

May no fate willfully misunderstand me

And half grant what I wish and snatch me away

Not to return. Earth’s the right place for love:

I don’t know where it’s likely to go better.

I’d like to go by climbing a birch tree,

And climb black branches up a snow-white trunk

Toward heaven, till the tree could bear no more,

But dipped its top and set me down again.

That would be good both going and coming back.

One could do worse than be a swinger of birches.”

(Da Birches di Robert Frost)

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Bibliografia:

-Adams M., The Wisdom of Trees, Head of Zeus Ltd, London 2014

-Angelini A., Il serto di Iside, Kemi, Milano 2008

-Bellini G., Carmignani U., Runemal, Età dell’Acquario, Torino

-Bosch H., Satanassi L., Incontri con lo Spirito degli Alberi, Humus Edizioni, Sarsina 2012

-Brosse J., Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano1991

Campanini E., Manuale pratico di gemmoterapia,  Tecniche Nuove, Milano 2005

-Campanini E., Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, Tecniche Nuove, Milano 2004

-Cattabiani A., Florario, Mondadori, Milano 2013

-Eliade M., Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Mediterranee Edizioni, Roma 1953

-Francia L., Le tredici lune, Venexia, Roma 2011

-Graves R., La Dea Bianca, Adelphi, Milano 2001

-Hageneder F., Lo spirito degli alberi, Crisalide, Latina 2001

-Hidalgo S., The healing power of Trees, Llewellyn Publications, Woodbury 2014

-Johnson S., L’Essenza della Guarigione, Bruno Galeazzi Editore, Bassano del Grappa 2004

-Paterson J.M., Tree Wisdom, Thorsons, London 1996

– Sentier E., Trees of the Goddess, Moon Books, Hants 2014

-Spohn M. e R., Guida agli alberi d’Europa, Franco Muzzio, Roma 2011

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Fireweed, il fiore della Rinascita

Fireweed (Epilobium angustifolium) è uno splendido fiore della famiglia delle Onagracee, che cresce nelle zone più fredde dell’emisfero boreale, al di sopra dei 1000 metri di altitudine.

La sua essenza fa parte del repertorio alaskano e condivide con le sue essenze sorelle la qualità di grande potenza e purezza nell’azione energetica. Le essenze alaskane sono limpide come cristalli.

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Fireweed è una pianta dalla fioritura lunga e, in cima ai suoi steli verticali alti a volte più di un metro, si trovano infiorescenze color magenta di forma piramidale, composte da fiori più piccoli che si schiudono uno ad uno, dal basso verso l’alto, evidenziando la corrente di energia che sempre percorre questa fantastica pianta.

Cresce in terreni sassosi, vicino ai detriti o in zone disturbate come i bordi delle strade, ma soprattutto la sua luce rossa e porpora illumina con distese che riempiono lo sguardo i prati e i boschi in cui c’è stato un incendio. Fireweed infatti in inglese significa proprio “Erba del Fuoco” e il suo nome deriva sia dal suo colore che dalla sua predilezione per le terre devastate dalle fiamme. Fireweed è la prima a ripopolarle, portando una sferzata di gioia e di vita dove prima era rimasto il deserto, formando una rete eterica di energia ristoratrice, rinnovando la struttura del terreno e rendendolo capace di attirare la vita di nuove piante.

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Naturalmente, anche la sua essenza floreale ci parla di guarigione profonda e rinascita. Fireweed è una delle grandi essenze a cui ricorrere se si sono subiti traumi, shock e violenze, perché facilita il rilascio del dolore dal nostro corpo e sostiene le nostre capacità di autoguarigione, permettendoci di attrarre energia ristoratrice e curativa da ciò che circonda. E’ un’essenza importante anche se ci si trova in una condizione di ristagno di energia e per coloro che hanno bruciato le energie vitali in una lotta o in un cattivo uso prolungati. Lo scopritore del repertorio alaskano, Steve Johnson, dice a proposito: “Fireweed aiuta queste persone ad uscire da queste abitudini e modalità di comportamento che contribuiscono alla stato di prostrazione, e a rimpiazzarle con una nuova matrice di connessione al regno terreno ed eterico.” (S.Johnson, L’Essenza della Guarigione, p. 77). Steve Johnson aggiunge anche: “E’ un potente catalizzatore della crescita e trasformazione che ci incoraggia a rilasciare qualunque cosa non sia più appropriata o utile nella nostra vita,  così che possiamo creare nuove esperienze liberi dalle limitazioni del passato.”

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Dopo che il fuoco ha devastato tutto, il buono e il cattivo; dove non si trovano che terra arsa e pura cenere spazzate dal vento magnetico della primavera artica, lì spunta Fireweed, come un saluto, come una figlia amata che ritorna e mostra quanta vitalità ancora vi sia sotto le ceneri. A volte sembra incredibile quanto nutrimento sopravviva al dolore, quante risorse sia capace di offrire la nostra grande Madre Terra, dentro e fuori di noi allo stesso modo. Fireweed ci riconnette alla nostra fonte di energia primordiale, risveglia la nostra voglia di vivere e sostiene la nostra profonda, irrinunciabile capacità di rinascere dalle ceneri.

Messaggio: “Apro il mio essere più intimo alla pulizia, alla trasformazione e alla rinascita. Benedico il vecchio e abbraccio il nuovo.” (tratto da L’Essenza della guarigione di S.Johnson)

Indicazioni: traumi, shock, esperienze di dolore, incidenti, ferite, ristagno di energia a qualsiasi livello, scarso “radicamento”, debole connessione verticale tra il regno terreno e quello spirituale, tentare di portare il passato nel futuro.

Chakra stimolati: tutti, dal I al VII.

Formule combinate in cui compare: Soul Support, Fireweed Combo, Purification

Per approfondire:

-S.Johnson, L’Essenza della Guarigione, ed. Bruno Galeazzi, Bassano del Grappa, 2004

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