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Noce: il Rito di Iniziazione

Cari lettori,

Con questo post concludo la mia esperienza di scrittura su questo blog, per trasferirmi sul blog del mio nuovo sito: www.ortisensibili.com, che vi invito a visitare e a seguire.

Grazie a chi mi ha letta e ha condiviso con me una, anche piccola, parte di cammino.

Con il Noce si conclude anche il mio libro sugli alberi, che sto finalizzando in questi giorni. Grazie al Noce, e a tutti gli alberi, per la loro voce e la loro pazienza.

Ora vi lascio alla lettura. A presto!

Con amore,

Giorgia

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Noce: il Rito di Iniziazione

Nome: Juglans regia L., famiglia della Juglandacee. L’epiteto generico è una contrazione di Iovis glans, ovvero “ghianda di Giove”, divinità a cui l’albero, presso i Romani, veniva associato.

Botanica:
Il Noce è un albero deciduo che non raggiunge solitamente grandi dimensioni (massimo 35 m di altezza e 2 m di diametro del tronco) e che può raggiungere un’età di 300-400 anni. Spesso presenta una chioma ampia, regale, che risalta ancor più perché si sviluppa in cima a un tronco non troppo alto. Pianta eminentemente solare, ama la luce e suoli fertili.

La corteccia è liscia, di colore marrone olivastro negli esemplari più giovani, e con l’età viene fessurata da molte rughe, diventa argentea e spesso si lascia ricoprire da licheni che le donano bellissime sfumature. Le gemme sono grosse, dure e marroni, e ricordano le zampe di un animale. Le foglie alternate, composte (da 5 a 7 foglioline ovali dal margine liscio) e imparipennate, e le foglie apicali tendono a diventare più grandi delle altre, raggiungendo anche i 15 cm di lunghezza. I fiori maschili sono amenti penduli di colore giallo mentre i femminili crescono in cima ai rami (terminali) in gruppi di 2-5, e somigliano a piccole botti verdi, da cui spuntano 2 ciuffi di pistilli, gialli prima dell’impollinazione e rosa una volta che l’ovulo viene fecondato. Una volta avvenuta la fecondazione, il fiore femminile si ingrossa, trasformandosi nel frutto, la noce, una drupa costituita da un guscio esteriore chiamato mallo, verde all’esterno e nero all’interno, che protegge le due valve di un guscio coriaceo dentro cui si trova il seme dorato (gheriglio), dall’aspetto simile al cervello umano, diviso in quattro parti e ricchissimo di oli vegetali e di minerali quali zinco, selenio e magnesio. Per germogliare, i semi del noce necessitano di trascorrere un lungo periodo sottoterra, nel completo buio, e di gelate.
Le radici del Noce, così come ogni altra parte del suo corpo, rilasciano nel suolo un tannino (naftochinone) chiamato juglone, che è la principale causa dell’allelopatia caratteristica di quest’albero. L’allelopatia (letteralmente “insofferenza degli altri”) è un comportamento attuato da alcune specie vegetali, per vincere la competizione e assicurarsi salute e sopravvivenza. Consiste nel rilasciare attorno a sé sostanze tossiche o repellenti per altre specie vegetali (e/o animali), così da scoraggiarne la crescita nelle vicinanze dell’individuo che le produce. Per questa ragione intorno al Noce non crescono solitamente altre piante, permettendogli di assicurarsi l’accesso a tutta la luce solare di cui necessita per prosperare, e probabilmente questa particolarità è alla base della credenza popolare secondo cui dormire o sostare a lungo presso un Noce causa mal di testa e malessere generale.

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Fitoterapia:
Il Noce è governato dal Sole, come funzione primaria, ma anche da Giove, Venere e Mercurio come funzionalità secondarie.
Agisce come un tonico astringente e disinfettante, e tutte le sue parti sono impiegabili.

Lo juglone presenta proprietà antibatteriche e fungicide. Le foglie trovano impiego nel trattamento sintomatico dell’insufficienza venosa, nella sintomatologia emorroidaria e nel trattamento sintomatico delle forma diarroiche lievi. Per uso topico, le foglie di Noce aiutano in caso di prurito e desolazione furfuracea del cuoio capelluto (a questo scopo Angelini consiglia un decotto di foglie di Noce e fogli di Edera), come trattamento d’appoggio come addolcente e antipruriginoso in alcune manifestazioni dermatologiche, e anche come antalgico e disinfettante nelle affezioni della cavità orale e dell’orofaringe.

In gemmoterapia, il rimedio Juglans regia MG DH100 (gemme) manifesta proprietà antinfettive e antinfiammatorie di lunga durata, attive nei confronti di stafilococco e streptococco e dei germi che si sviluppano a livello delle mucose, in particolare di trachea e bronchi (angine, trachebronchiti, otiti).
Rimedio di suppurazione, Juglans regia MG è utile anche nella terapia dell’eczema infettato, nell’acne pustolosa, nell’impetigine e in ogni altra alterazione cutanea con gemizio.
Esplica azione antinfiammatoria anche a livello del pancreas, stimolandone l’attività, per esempio nei casi di malassorbimento causato da insufficienza pancreatica funzionale (E. Campanini, Manuale di gemmoterapia).

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Con i fiori del Noce si prepara anche un rimedio floreale del repertorio di Bach, Walnut, utile per accompagnare i momenti di trasformazione e cambiamento nella vita degli individui, proteggendoli dalle perturbazioni e dalle influenza esterne e aiutandoli a mantenere integro e limpido il proprio campo energetico, restando in contatto con il proprio centro superiore.

Nella ricerca di Hubert Bosch e Lucilla Satanassi, il rimedio preparato con le parti di quest’albero, lo Spirito del Noce, aiuta a scendere nel proprio abisso oscuro per ritrovare la luce della propria consapevolezza, espandere le proprie percezioni e pensare più lucidamente, una volta esplorate e integrate le proprie parti più buie (intestino e cervello, le due parti del corpo simili al gheriglio della noce, sono i due organi anche più simili fra loro del nostro organismo, entrambi producono serotonina e influenzano la nostra psiche. Se l’intestino rappresenta il buio, il cervello è la luce, ma noi siamo il risultato della loro azione congiunta).

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Mitologia e storia:
Un mito greco racconta che Dione, re della Laconia, si era sposato con Anfitea, con la quale aveva avuto tre figlie: Orfe, Lico e Caria. Un giorno la madre accolse con grande ospitalità il dio Apollo, che si trovava a viaggiare per quelle terre e questo, come ricompensa, donò alle tre figlie doni profetici, puché esse non tradissero mai gli dei e non cercassero di sapere quel che non le riguardava.
Tempo dopo, anche Dioniso chiese ospitalità in casa di Dione e, non sapendo resistere al fascino di Caria, la figlia più giovane, se ne innamorò. Giunto il momento Dioniso ripartì per il suo viaggio intorno alla Terra ma, quando finalmente lo concluse, torno in Laconia, da Caria, per rivederla e per stare con lei. Le sorelle Orfe e Lico però, spinte dalla curiosità, iniziarono a spiare i due amanti, infrangendo la promessa fatta ad Apollo. Nonostante Dioniso le avesse avvertite, le due non riuscivano a resistere alla tentazione, cosicché il dio le punì facendole impazzire e trasformandole poi in rocce. Facendo ciò però Dioniso perse Caria che, a quanto narrano, morì dal dolore. Avendola tanto amata, Dioniso decise allora di trasformarla in un bellissimo Noce.
Fu Artemide, sorella di Apollo, che raccontò per prima questa storia ai coni che eressero un tempio in suo onore, le cui colonne erano statue di donne scolpite in legno di Noce. Il tempio fu consacrato a Artemide Cariatide (da qui deriva il nome “cariatide” usato in storia dell’arte e riferito appunto alle colonne scolpite secondo sembianze femminili).
La trasformazione di una donna morta in albero così come l’attribuzione ad Artemide dell’appellativo derivato da Caria ci rivelano che il mito adombra, come spesso accade, la sostituzione di un culto antico con uno nuovo. Lo conformerebbe il fatto che in epoca arcaica si venerava una divinità pelagica, Kar o Ker, che diede il nome alla Caria, una regione dell’Asia minore. Ker, forse una rappresentazione della Grande Madre, nella Teogonia di Esiodo è ritenuta sorella di Thanatos, la Morte, e di Moros, il Trapasso. Omero la chiama “funesta e malvagia” ed Eschilo “arraffatrice di uomini”. La dea si moltiplicò anche nelle Keres, personificazioni del destino che portava via ogni eroe alla sua morte. Le Keres erano raffigurate come esseri alati, neri, con grandi denti bianchi e unghie aguzze, intente a straziare i cadaveri e a bere il sangue di morti e feriti. Talvolta erano anche intese come destini coesistenti in ogni essere umano, non soltanto la morte quindi ma anche la vita e le occasioni che gli sarebbero toccate in sorte. Sembrerebbe quindi che le funzioni ambivalenti della Dea Ker pelagica si siano sdoppiate, con l’affermazione del patriarcato, da una parte nella bianca Artemide celestiale, e dall’altro nelle Keres infernali.

Tra Sole e Buio, il Noce nel Medioevo era considerato anche albero di streghe. Famoso il Noce di Benevento, attorno al quale si teneva un grande sabba nella notte di San Giovanni, al quale accorrevano volando streghe da ogni parte del mondo, guidate da Diana (il nome latino di Artemide). L’albero, già abbattuto nel VII secolo, era rispuntato sempre nello stesso punto, vicino a dove il fiume Sabato si immette nel Calore, e morì definitivamente (?) nel XVII secolo.

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Oltre che alla morte e alle streghe (Buio) il Noce è tradizionalmente legato anche all’abbondanza e alla fertilità (Luce). Come pianta dedicata alla Grande Madre, ha una duplice valenza, di vita e di morte, luminosa e cupa. Anticamente venne consacrato a Giove, come testimonia il suo nome, secondo la tradizione per via delle grandi proprietà nutritive unite a un gusto gradevole del suo frutto, che nei tempi antichi costituiva un elemento importantissimo dell’alimentazione. Nella Roma antica era usanza far piovere noci sugli sposi perché, secondo Festo, il loro rumore copriva le grida della sposa, di cui si simulava il rapimento, e la sposa a sua volta doveva lanciare delle noci che, cadendo e rimbalzando erano segno di buona fortuna. Tale usanza non si è perduta nelle tradizioni europee, dove però la noce è stata sostituita dal riso o dal grano, sempre simboli di fortuna e abbondanza.

Nelle fiabe la noce è sempre portatrice di tesori o oggetti magici, come ne “Il Forno” o “Il principe e la principessa” dei fratelli Grimm, in cui tre noci, con i loro doni, permettono alle protagoniste di ottenere risultati insperati (ovvero sposare il principe e, quindi, da un punto di vista archetipico, riunirsi al proprio Animus e raggiungere l’individuazione, già preannunciata nel simbolo della noce).

 

L’energia del Noce:

Noce è la nostra parte oscura. E’ l’energia dello Scorpione, che scende e decompone e disfa la materia nelle sue parti essenziali, preparandola per essere arsa dal fuoco alchemico della Terra, durante il mese del Solstizio, quando il Sole esterno oscilla freddo dalla costellazione del Sagittario mentre gli spiriti della Terra sono finalmente svegli e il sottosuolo arde di trasformazioni.
Noce ci chiede di annientarci. Di fermarci e smettere di essere noi stessi. Perché solo così, senza maschere, senza legami, senza paletti, senza tracciato o staccionata, senza paracadute, solo così possiamo davvero essere. “Bisogna smettere di esistere, per esistere davvero” diceva Goethe, luminoso e sibillino. Di cosa stava parlando? Delle piante forse, che con il fiore superano se stesse e si condensano nel seme, morendo e proprio così aprendosi alla fecondazione del Cosmo, dando vita a una nuova pianta, una nuova versione di se stesse?
Il Noce ci parla dello sprofondare, del disfare e del disfarsi, e poi anche del cristallizzarsi di nuove forme, a partire dalle ceneri delle vecchie.
L’energia del Noce unisce acqua, fuoco sotterraneo, cenere e scintilla. E’ un albero misterioso e complesso, dall’energia fredda, legata a processi molto profondi. E’ la pare dell’evoluzione che ci fa più paura. E’ la prova, il rito di iniziazione. E’ la morte che conduce nel prossimo livello.

Per esistere davvero, occorre prima annullarsi. Da quel nulla, partire poi seguendo la prima vera spinta di desiderio che ci rianima. La morte purificatrice del Noce porta al risveglio della mente su un livello completamente nuovo. Pronti a ripartire, un altro giro di giostra lungo la spirale del destino, ripassando sempre dalle stesse tappe ma con giri sempre più lunghi, sempre più larghi, sempre più profondamente pervasi di universo.

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Bibliografia:
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-Angelini A., Il serto di Iside, Vol. I e II, Kemi, Milano 2008
-Bellini G., Carmignani U., Runemal, Età dell’Acquario, Torino
-Bosch H., Satanassi L., Incontri con lo Spirito degli Alberi, Humus Edizioni, Sarsina 2012
-Brosse J., Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano1991
-La magia delle piante, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992
-Brown J.E., The Sacred Pipe, Penguin Books, London 1947 (pdf reperibile su internet)
-Campanini E., Manuale pratico di gemmoterapia, Tecniche Nuove, Milano 2005
-Campanini E., Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, Tecniche Nuove, Milano 2004
-Cattabiani A., Florario, Mondadori, Milano 2013
-Chiereghin P., Farmacia verde, Edagricole, Milano 2011
-Eliade M., Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Edizioni Mediterranee, Roma 1953
-Firenzuoli F., Le 100 erbe della salute, Tecniche Nuove, Milano 2000
-Francia L., Le tredici lune, Venexia, Roma 2011
-Frazer J., Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino 2012
-Gobel T., La configurazione dello spazio nel mondo degli alberi e dell’uomo, Editrice Antroposofica, Milano 2011
-Graves R., La Dea Bianca, Adelphi, Milano 2001
-Graves R., I miti greci, Longanesi, Milano 1992
-Grimm J. e W., Fiabe, Einaudi, Torino 2013
-Grohmann G., Tra Sole e Terra, Filadelfia Editore, Milano 2010
-Hageneder F., Lo spirito degli alberi, Crisalide, Latina 2001
-Hesse H. Il canto degli alberi, Guanda, Parma 1992
-Hidalgo S., The healing power of Trees, Llewellyn Publications, Woodbury 2014
-Johnson S., L’Essenza della Guarigione, Bruno Galeazzi Editore, Bassano del Grappa 2004
-Junius M.M., Alchimia verde, Edizioni Mediterranee, Roma 2005
-Kindl U., Mari A., Il Bosco, Mondadori, Milano 1989
-Kranich E.M., Il linguaggio delle forme vegetali, Editrice Antroposofica, Milano 2010
-Lightfoot J., Flora Scotica, B.White, London 1777 (versione digitale)
-Motti R., Botanica sistematica e forestale, Liguori Editore 2010
-Paterson J.M., Tree Wisdom, Thorsons, London 1996
-Pelikan W., Le piante medicinali Vol. I, II, III, Natura e Cultura Editrice, Alassio 1999
-Pomini L., Erboristeria italiana, Edizioni Vitalità, Torino 1973
-Rigoni Stern M., Arboreto salvatico, Einaudi, Torino 1996
-Scheffer M., Il grande libro dei fiori di Bach, Corbaccio, Milano 2013
– Sentier E., Trees of the Goddess, Moon Books, Hants 2014
-Spohn M. e R., Guida agli alberi d’Europa, Franco Muzzio, Roma 2011
-Steiner R., Universo, Terra e Uomo, Editrice Antroposofica, Milano 2005
-Impulsi scientifico-spirituali per lo sviluppo dell’agricoltura, Editrice Antroposofica, Milano 2009
-Stefani S., Conti C., Vittori M., Manuale di medicina spagyrica, Tecniche Nuove, Milano 2008
-Stone M., Quando Dio era una donna, Venexia, Roma 2011
-Sturlsson S., Edda, traduzione a cura di G.Dolfini, Adelphi, Milano 1975
-Tudge C., The Tree, Three Rivers Press, New York 2005
-Wohlleben P., La vita segreta degli alberi, Macro Edizioni, Cesena 2016

 

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Salice: la ferita inguaribile del Femminile

Nome: esistono numerose specie di Salice, ma quella di cui ci occuperemo principalmente qui è Salix alba L., famiglia della Salicaceae.
Il latino salix, salicis risale alla radice indoeuropea *selik, passata poi nel greco heliké. La voce latina è collegata anche con l’irlandese saille.

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Botanica:
Il Salice è un albero deciduo che ama i suoli umidi e luminosi. Si trova spesso lungo corsi d’acqua e ha una crescita piuttosto veloce, anche se non raggiunge grandi altezze, fermandosi a un massimo di 25 metri, né è particolarmente longevo. Sua caratteristica è quella di avere un legno flessuoso, difficile da spezzare, infatti i suoi rami (soprattutto quelli della specie S. viminalis) vengono utilizzati per fare ceste e mobili. Un’altra caratteristica è quella di produrre numerosi polloni, fusti giovani che spuntano dalle radici dell’albero madre, dotati di grande vitalità, tanto che spesso basta trapiantarli in un suolo con il giusto tasso di umidità perché questi crescano e diventino nuovi alberi.

Il tronco del salice è robusto e spesso contorto, la corteccia grigioverde tende a fessurarsi e desquamarsi ed è ricca di tannini e di acido salicilico (che si chiama così proprio perché è stato individuato per la prima volta nella corteccia di quest’albero).
Le foglie del salice bianco sono lunghe e strette, simili a spicchi di luna, con la pagina superiore grigioverde e quella inferiore bianco avorio. Spuntano lungo i rami a volte contemporaneamente alla fioritura, a volte subito dopo, verso aprile. I salici sono piante dioiche, quindi ogni esemplare porta fiori o maschili o femminili e per l’impollinazione si affidano sia al vento (impollinazione anemofila) che agli insetti (i. entomofila). Sono frequentissime, in questo genere, le ibridazioni interspecie (salici appartenenti a generi diversi che si fecondano, dando vita a specie ibride).

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I fiori sono amenti penduli, e i fiori maschili sono i più belli e vistosi. Si formano a partire da gemme setose e argentate, sviluppandosi poi in amenti verdi simili a bruchi, con piccole scaglie che si aprono lasciando apparire gli stami. Gli stami sono lunghi e si presentano quasi sempre in coppie che recano nel mezzo una sacca di polline che attira le api, per le quali i fiori di salice sono una dei primi cibi dell’anno. Quando le antere (le “teste” degli stami) sono mature, scoppiano, liberando nell’aria nuvole di polline che, trasportate dal vento, cercheranno di raggiungere i fiori femminili di un altro salice, per fecondarli.

Il frutto del salice, come quello del pioppo, è simile a un batuffolo di cotone e nela forma somiglia a un bruco. I semi del salice, al fine di essere il più leggeri possibile, non sono dotati di endosperma, cioè non hanno il corredo nutritivo solitamente presente all’interno del seme (quella scorta di cibo che permette ai semi, in caso non trovino subito le condizioni idonee alla germinazione, di restare quiescenti ma  vitali anche per diverso tempo). Ciò fa sì che i semi del salice abbiano una vita piuttosto breve e che per germogliare necessitino di atterrare su terreni umidi dove possono radicare rapidamente.

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Fitoterapia:
Il Salice è una pianta lunare, e il suo processo caratteristico consiste nel condurre l’acquoso all’aereo, trasformando l’acqua in luce, l’eterico in astrale.

E’ noto per le sue proprietà antipiretiche, antireumatiche e antispasmodiche. E’ a partire dalla corteccia di salice che Piria scoprì, nel 1838, l’acido salicilico, per ossidazione della salicina. La salicina agisce nell’organismo umano come un prefarmaco: dopo la somministrazione per via orale, viene idrolizzata a livello intestinale in glucosio e saligenina che, una volta entrata nel circolo ematico, viene metallizzata in acido salicilico, che è un inibitori della sintesi delle prostagandine per inibizione della cicloossigenasi (quindi blocca il processo infiammatorio).

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Gli amenti hanno proprietà sedativa e ansiolitica. In particolare l’azione sedativa si manifesta a livello degli organi genitali: nei disturbi causati dalla dismenorrea, dove si ha una notevole attenuazione del dolore e delle turbe nervose, e nell’eretismo genitale, per via dell’azione anafrodisiaca. A queste proprietà si aggiunge una benefica azione tonico-stomachica che, migliorando i processi digestivi, contribuisce al benessere generale.

In flortierapia, il rimedio preparato con i fiori del Salice (Willow) fa parte del repertorio dei fiori di Bach ed è considerato il “fiore del Destino”, consigliato a coloro che non accettano la propria situazione, sentendosi continuamente insoddisfatti da ciò che hanno e attribuendo la colpa dei propri supposti fallimenti e della propria frustrazione agli altri. Willow aiuta a uscire dalle situazioni di autocompatimento cronico, stimolando l’assunzione di responsabilità e la capacità di accogliere gli altri, anziché esigere sempre qualcosa, non giudicando mai abbastanza ciò che si ottiene. Ci mostra che siamo artefici del nostro destino e ci dispone a un atteggiamento più materno verso il prossimo, più gioviale e saggio, permettendoci di uscire dalle spirali di lamentele, recriminazioni, vittimismo e rimuginamenti continui.

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Mitologia e storia:
Il Salice è il quinto albero dell’alfabeto arboreo dei Celti, che lo chiamavano saille. E’ considerato l’albero degli incantesimi, il quinto albero dell’anno, e cinque (V) era il numero sacro alla dea-Luna romana, Minerva. Il mese celtico del Salice va dal 15 aprile al 12 maggio e a metà di questo periodo cade la festa di Beltaine, celebre per essere la festa degli innamorati, per le sue baldorie orgiastiche e per la rugiada magica. Nell’Europa settentrionale il suo legame con le streghe è così forte che, come fa notare Robert Graves in La Dea Bianca, le parole witch (“strega”) e wicked (“malvagio”) derivano dallo stesso termine che anticamente indicava il Salice, e da cui deriva anche wicker (“vimini”).                I sacrifici umani dei druidi venivano offerti con la Luna piena in cesti di vimini, e le selci funerarie erano a forma di foglia di Salice.

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Nell’antica Grecia era sacro a Circe, Era, Ecate e Persefone, tutte rappresentanti aspetti oscuri, mortuari della Triplice Dea, e venerato dalle streghe. Nicholas Culpeper, nel suo The Complete Herbal, scrive che il salice “appartiene alla Luna”. Il Salice (heliké in greco) ha dato il nome al Monte Elicona, dimora delle nove Muse, in origine sacerdotesse orgiastiche della Dea.  Secondo Plinio, davanti alla grotta cretese in cui nacque Zeus cresceva un Salice. Arthur Bernard Cook, nel suo Zeus: a study in Ancient Religion, commentando una serie di monete provenienti dal sito cretese di Gortyna, avanza l’ipotesi che Europa, che vi è raffigurata seduta su un Salice, con in mano un cesto di vimini e stretta in un abbraccio amorosa con un’aquila, sia non solo Eur-opa , “colei dall’ampio volto”, cioè a Luna piena, ma anche Eu-ropa, “colei dai fiorenti rami (di Salice)”, anche nota come Elice, sorella di Amaltea, la capra che allattò Zeus neonato.

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Sono molteplici le ragioni per cui il Salice è da sempre stato considerato sacro alla Luna: è l’albero che forse più di ogni altro predilige l’acqua, il cui simbolismo è strettamente legato a quello della Luna, dispensatrice della rugiada e in generale dell’umidità, e signora delle maree; le foglie e la corteccia dell’albero, che contiene acido salicilico, sono il rimedio per eccellenza contro i dolori rematici, causati da eccessiva umidità e un tempo ritenuti opera di stregoneria. Sui Salici ama nidificare, sempre secondo quanto racconta Graves, un uccello simbolo della Dea, il torcicollo (Inyx torquilla, noto in inglese anche come “uccello serpente”), un migratore primaverile che sibila come un serpente, si sdraia sui rami, alza la cresta quando è adirato, ha il collo mobilissimo, depone uova di colore bianco (come la Luna), si nutre di formiche e ha sulle piume dei segni a V che ricordano le scaglie dei serpenti oracoli della Grecia antica. E’ noto come il serpente sia stato, fin dal Paleolitico, considerato una delle forme assunte dalla Grande Dea, legato in particolare al suo aspetto ctonio, ossia sotterraneo.
Inoltre il liknon, il setaccio utilizzato anticamente per vagliare i cereali, era fatto di Salice. E’ su vagli di Salice di questo genere che le streghe di North Berwick, secondo quanto esse stesse confessarono a Giacomo I, avrebbero fluttuato durante i loro sabba.
Presso i Romani il Salice si chiamava salix, ma essi indicavano più frequentemente con il termine vimen, viminis (“vimine”) quelle varietà (S.alba, trianda e purpurea) i cui rami flessibili, decorticati dopo una lunga macerazione, venivano utilizzati per la fabbricazione di cesti, panieri e legacci d’ogni tipo. Vimen è anche all’origine del nome di uno dei sette colli di Roma, il Viminale, così chiamato perché un tempo era ricoperto di Salici.

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Elena Arcangeli, La sedia di vimini

La credenza di origine greca secondo cui l’albero avrebbe favorito la castità, ispirò un farmaco per calmare l’ardore sessuale. Nel XVIII secolo si raccomandava di assumere amenti di Salice alle donne sessualmente troppo esuberanti.
Anche presso il Cristianesimo delle origini il Salice era considerato una pianta che portava sterilità, o comunque che spegneva il desiderio. Forse basandosi sul falso stereotipo (già comune ai tempi di Omero, che nell’Odissea definisce il Salice come l’albero “che perde i frutti”) che il Salice faccia cadere i frutti dai rami prima che questi siano maturi – quando invece oggi si sa bene, e del resto sarebbe stato facile osservare anche in passato (ma è risaputo che a volte i pregiudizi impediscono di vedere le cose per ciò che veramente sono) che i frutti del Salice si staccano presto dalla pianta semplicemente perché maturano in fretta-, ma insomma, forse per questo il Salice fin dall’antichità fu considerato dagli uomini come albero legato alla castità, sia in senso negativo (assenza di discendenza) sia in senso positivo (ascesi e purezza). Sono numerose le occorrenze in proposito nei testi degli autori cristiani delle origini e del Medioevo.
La figura del Salice si trova dunque a oscillare, nella tradizione, fra simbolismi ambivalenti, se non proprio opposti: albero lunare, stregonesco, simbolo di un femminile indomabile e oscuro da un lato, e albero della castità dall’altro.

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L’energia del Salice:
L’energia del Salice è molto forte e complessa. Quest’albero ci parla del Femminile, ma in maniera ambivalente e misteriosa. Più che parlare a noi, quando ci poniamo in ascolto, sembra oltrepassarci per comunicare direttamente con le acque del nostro inconscio, mescolandosi con esse, sondandole con le sue radici fradice e sensibilissime e portando alla luce della Luna parti di noi che non siamo solite frequentare, trasformando in aria e liberando emozioni che teniamo segrete addirittura a noi stesse.

Il Salice è un albero legato all’acqua e alla luce, alla trasformazione delle emozioni in pensiero, al passaggio dalla sfera eterica a quella astrale. La sua energia esplora e libera, ma in un modo inconsueto per molti e spesso frainteso, soprattutto presso le società patriarcali: un modo profondamente femminile.
Il Salice è impregnato di contenuti inconsci, e il suo legno trattiene da millenni il dolore e il pianto per un femminile incompreso, temuto e quindi sottomesso. Rappresenta una parte (tanto delle donne come degli uomini) estremamente potente, legata alla capacità di flettersi, di portare a galla dal profondo e infine di accogliere. E’ un albero notturno (anche se ama il Sole e in lui risplende magnificamente), controparte vegetale della Luna, che influenza i liquidi corporei e gli organi genitali.

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Il Salice, nell’esperienza che mi ha donato, con il suo tronco in cui spesso si aprono cavità, fessure, buchi, rappresenta la ferita inguaribile del Femminile: il dolore irrimediabile dell’incomprensione e della sottomissione, che però è al tempo stesso caratteristica imprescindibile dello sciamano. Ogni sciamano infatti, tradizionalmente, deve i suoi poteri a una “unhealed wound”, una ferita inguaribile appunto, apertura che gli permette di comprendere il dolore del mondo e viaggiare in altre dimensioni per recuperare i pezzi delle anime degli altri. Il Femminile più profondo dentro ognuno di noi ha subito nel tempo gravi danni, è stato ingiuriato quasi a morte, travisato, umiliato, disprezzato e dileggiato. Il tutto per paura e ignoranza.

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Il Salice ci mostra come questa ferita insanabile, che causa sofferenza e risentimento, spesso talmente inconsce che l’apparenza è totalmente opposta, possa divenire un incavo nel nostro tronco in cui dare rifugio a piccoli animali. Un portale attraverso cui scendere nelle nostre acque per esplorare mondi lunari. Una fessura da cui assorbire la luce del Cosmo. Senza questa apertura, la magia non sarebbe possibile. Non sarebbe possibile la trasmutazione di acqua in luce, e invece è proprio questo che il saggio, forte, meraviglioso Salice ci vuole insegnare. Ci dice: “Crescete intorno alla vostra ferita, portandola come un gioiello. Esplorate mondi diversi e metteteli in comunicazione. Piegatevi, accogliete, niente potrà distruggervi. Nemmeno l’incomprensione. Nemmeno il dolore più grande. Le lacrime divengono luce. Vi offro la mia energia per mettere a tacere l’urlo dell’infiammazione che si espande attorno alle vostre membra, irrigidendovi le articolazioni e impedendovi di danzare. Accettate la ferita. Onoratela. E’ proprio attraverso di essa che potete entrare in contatto con le vostre antenate, le più antiche delle quali erano ancora riconosciute come dee. La ferita è una sola, e ci accomuna tutte. Lamentarsi non serve, e nemmeno serve ribellarsi alla propria natura di vasi portatori di acque magiche. Salite sulle mie fronde e vi farò volare fin sulla Luna, insegnandovi la meraviglia del femminile che sopravvive e accoglie e protegge e trasforma, e perdona, anche. Perché è più forte. Conosce profondità in cui i più temono di arrivare. Ma è da laggiù che passa la via per la Luna.”

Essendo legato alle acque e all’inconscio, ai poteri medianici, il Salice è un albero magico, e la sua energia, lasciata entrare nelle nostre vite, darà luogo a interessanti episodi di sincronicità, risvegliando soprattutto l’archetipo della Strega, ovvero la Vecchia Madre, la Nonna: un femminile antichissimo e tremendamente saggio, in cui la donna supera se stessa e diventa natura, paesaggio, albero…

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Bibliografia:
-Adams M., The Wisdom of Trees, Head of Zeus Ltd, London 2014
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