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Noce: il Rito di Iniziazione

Cari lettori,

Con questo post concludo la mia esperienza di scrittura su questo blog, per trasferirmi sul blog del mio nuovo sito: www.ortisensibili.com, che vi invito a visitare e a seguire.

Grazie a chi mi ha letta e ha condiviso con me una, anche piccola, parte di cammino.

Con il Noce si conclude anche il mio libro sugli alberi, che sto finalizzando in questi giorni. Grazie al Noce, e a tutti gli alberi, per la loro voce e la loro pazienza.

Ora vi lascio alla lettura. A presto!

Con amore,

Giorgia

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Noce: il Rito di Iniziazione

Nome: Juglans regia L., famiglia della Juglandacee. L’epiteto generico è una contrazione di Iovis glans, ovvero “ghianda di Giove”, divinità a cui l’albero, presso i Romani, veniva associato.

Botanica:
Il Noce è un albero deciduo che non raggiunge solitamente grandi dimensioni (massimo 35 m di altezza e 2 m di diametro del tronco) e che può raggiungere un’età di 300-400 anni. Spesso presenta una chioma ampia, regale, che risalta ancor più perché si sviluppa in cima a un tronco non troppo alto. Pianta eminentemente solare, ama la luce e suoli fertili.

La corteccia è liscia, di colore marrone olivastro negli esemplari più giovani, e con l’età viene fessurata da molte rughe, diventa argentea e spesso si lascia ricoprire da licheni che le donano bellissime sfumature. Le gemme sono grosse, dure e marroni, e ricordano le zampe di un animale. Le foglie alternate, composte (da 5 a 7 foglioline ovali dal margine liscio) e imparipennate, e le foglie apicali tendono a diventare più grandi delle altre, raggiungendo anche i 15 cm di lunghezza. I fiori maschili sono amenti penduli di colore giallo mentre i femminili crescono in cima ai rami (terminali) in gruppi di 2-5, e somigliano a piccole botti verdi, da cui spuntano 2 ciuffi di pistilli, gialli prima dell’impollinazione e rosa una volta che l’ovulo viene fecondato. Una volta avvenuta la fecondazione, il fiore femminile si ingrossa, trasformandosi nel frutto, la noce, una drupa costituita da un guscio esteriore chiamato mallo, verde all’esterno e nero all’interno, che protegge le due valve di un guscio coriaceo dentro cui si trova il seme dorato (gheriglio), dall’aspetto simile al cervello umano, diviso in quattro parti e ricchissimo di oli vegetali e di minerali quali zinco, selenio e magnesio. Per germogliare, i semi del noce necessitano di trascorrere un lungo periodo sottoterra, nel completo buio, e di gelate.
Le radici del Noce, così come ogni altra parte del suo corpo, rilasciano nel suolo un tannino (naftochinone) chiamato juglone, che è la principale causa dell’allelopatia caratteristica di quest’albero. L’allelopatia (letteralmente “insofferenza degli altri”) è un comportamento attuato da alcune specie vegetali, per vincere la competizione e assicurarsi salute e sopravvivenza. Consiste nel rilasciare attorno a sé sostanze tossiche o repellenti per altre specie vegetali (e/o animali), così da scoraggiarne la crescita nelle vicinanze dell’individuo che le produce. Per questa ragione intorno al Noce non crescono solitamente altre piante, permettendogli di assicurarsi l’accesso a tutta la luce solare di cui necessita per prosperare, e probabilmente questa particolarità è alla base della credenza popolare secondo cui dormire o sostare a lungo presso un Noce causa mal di testa e malessere generale.

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Fitoterapia:
Il Noce è governato dal Sole, come funzione primaria, ma anche da Giove, Venere e Mercurio come funzionalità secondarie.
Agisce come un tonico astringente e disinfettante, e tutte le sue parti sono impiegabili.

Lo juglone presenta proprietà antibatteriche e fungicide. Le foglie trovano impiego nel trattamento sintomatico dell’insufficienza venosa, nella sintomatologia emorroidaria e nel trattamento sintomatico delle forma diarroiche lievi. Per uso topico, le foglie di Noce aiutano in caso di prurito e desolazione furfuracea del cuoio capelluto (a questo scopo Angelini consiglia un decotto di foglie di Noce e fogli di Edera), come trattamento d’appoggio come addolcente e antipruriginoso in alcune manifestazioni dermatologiche, e anche come antalgico e disinfettante nelle affezioni della cavità orale e dell’orofaringe.

In gemmoterapia, il rimedio Juglans regia MG DH100 (gemme) manifesta proprietà antinfettive e antinfiammatorie di lunga durata, attive nei confronti di stafilococco e streptococco e dei germi che si sviluppano a livello delle mucose, in particolare di trachea e bronchi (angine, trachebronchiti, otiti).
Rimedio di suppurazione, Juglans regia MG è utile anche nella terapia dell’eczema infettato, nell’acne pustolosa, nell’impetigine e in ogni altra alterazione cutanea con gemizio.
Esplica azione antinfiammatoria anche a livello del pancreas, stimolandone l’attività, per esempio nei casi di malassorbimento causato da insufficienza pancreatica funzionale (E. Campanini, Manuale di gemmoterapia).

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Con i fiori del Noce si prepara anche un rimedio floreale del repertorio di Bach, Walnut, utile per accompagnare i momenti di trasformazione e cambiamento nella vita degli individui, proteggendoli dalle perturbazioni e dalle influenza esterne e aiutandoli a mantenere integro e limpido il proprio campo energetico, restando in contatto con il proprio centro superiore.

Nella ricerca di Hubert Bosch e Lucilla Satanassi, il rimedio preparato con le parti di quest’albero, lo Spirito del Noce, aiuta a scendere nel proprio abisso oscuro per ritrovare la luce della propria consapevolezza, espandere le proprie percezioni e pensare più lucidamente, una volta esplorate e integrate le proprie parti più buie (intestino e cervello, le due parti del corpo simili al gheriglio della noce, sono i due organi anche più simili fra loro del nostro organismo, entrambi producono serotonina e influenzano la nostra psiche. Se l’intestino rappresenta il buio, il cervello è la luce, ma noi siamo il risultato della loro azione congiunta).

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Mitologia e storia:
Un mito greco racconta che Dione, re della Laconia, si era sposato con Anfitea, con la quale aveva avuto tre figlie: Orfe, Lico e Caria. Un giorno la madre accolse con grande ospitalità il dio Apollo, che si trovava a viaggiare per quelle terre e questo, come ricompensa, donò alle tre figlie doni profetici, puché esse non tradissero mai gli dei e non cercassero di sapere quel che non le riguardava.
Tempo dopo, anche Dioniso chiese ospitalità in casa di Dione e, non sapendo resistere al fascino di Caria, la figlia più giovane, se ne innamorò. Giunto il momento Dioniso ripartì per il suo viaggio intorno alla Terra ma, quando finalmente lo concluse, torno in Laconia, da Caria, per rivederla e per stare con lei. Le sorelle Orfe e Lico però, spinte dalla curiosità, iniziarono a spiare i due amanti, infrangendo la promessa fatta ad Apollo. Nonostante Dioniso le avesse avvertite, le due non riuscivano a resistere alla tentazione, cosicché il dio le punì facendole impazzire e trasformandole poi in rocce. Facendo ciò però Dioniso perse Caria che, a quanto narrano, morì dal dolore. Avendola tanto amata, Dioniso decise allora di trasformarla in un bellissimo Noce.
Fu Artemide, sorella di Apollo, che raccontò per prima questa storia ai coni che eressero un tempio in suo onore, le cui colonne erano statue di donne scolpite in legno di Noce. Il tempio fu consacrato a Artemide Cariatide (da qui deriva il nome “cariatide” usato in storia dell’arte e riferito appunto alle colonne scolpite secondo sembianze femminili).
La trasformazione di una donna morta in albero così come l’attribuzione ad Artemide dell’appellativo derivato da Caria ci rivelano che il mito adombra, come spesso accade, la sostituzione di un culto antico con uno nuovo. Lo conformerebbe il fatto che in epoca arcaica si venerava una divinità pelagica, Kar o Ker, che diede il nome alla Caria, una regione dell’Asia minore. Ker, forse una rappresentazione della Grande Madre, nella Teogonia di Esiodo è ritenuta sorella di Thanatos, la Morte, e di Moros, il Trapasso. Omero la chiama “funesta e malvagia” ed Eschilo “arraffatrice di uomini”. La dea si moltiplicò anche nelle Keres, personificazioni del destino che portava via ogni eroe alla sua morte. Le Keres erano raffigurate come esseri alati, neri, con grandi denti bianchi e unghie aguzze, intente a straziare i cadaveri e a bere il sangue di morti e feriti. Talvolta erano anche intese come destini coesistenti in ogni essere umano, non soltanto la morte quindi ma anche la vita e le occasioni che gli sarebbero toccate in sorte. Sembrerebbe quindi che le funzioni ambivalenti della Dea Ker pelagica si siano sdoppiate, con l’affermazione del patriarcato, da una parte nella bianca Artemide celestiale, e dall’altro nelle Keres infernali.

Tra Sole e Buio, il Noce nel Medioevo era considerato anche albero di streghe. Famoso il Noce di Benevento, attorno al quale si teneva un grande sabba nella notte di San Giovanni, al quale accorrevano volando streghe da ogni parte del mondo, guidate da Diana (il nome latino di Artemide). L’albero, già abbattuto nel VII secolo, era rispuntato sempre nello stesso punto, vicino a dove il fiume Sabato si immette nel Calore, e morì definitivamente (?) nel XVII secolo.

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Oltre che alla morte e alle streghe (Buio) il Noce è tradizionalmente legato anche all’abbondanza e alla fertilità (Luce). Come pianta dedicata alla Grande Madre, ha una duplice valenza, di vita e di morte, luminosa e cupa. Anticamente venne consacrato a Giove, come testimonia il suo nome, secondo la tradizione per via delle grandi proprietà nutritive unite a un gusto gradevole del suo frutto, che nei tempi antichi costituiva un elemento importantissimo dell’alimentazione. Nella Roma antica era usanza far piovere noci sugli sposi perché, secondo Festo, il loro rumore copriva le grida della sposa, di cui si simulava il rapimento, e la sposa a sua volta doveva lanciare delle noci che, cadendo e rimbalzando erano segno di buona fortuna. Tale usanza non si è perduta nelle tradizioni europee, dove però la noce è stata sostituita dal riso o dal grano, sempre simboli di fortuna e abbondanza.

Nelle fiabe la noce è sempre portatrice di tesori o oggetti magici, come ne “Il Forno” o “Il principe e la principessa” dei fratelli Grimm, in cui tre noci, con i loro doni, permettono alle protagoniste di ottenere risultati insperati (ovvero sposare il principe e, quindi, da un punto di vista archetipico, riunirsi al proprio Animus e raggiungere l’individuazione, già preannunciata nel simbolo della noce).

 

L’energia del Noce:

Noce è la nostra parte oscura. E’ l’energia dello Scorpione, che scende e decompone e disfa la materia nelle sue parti essenziali, preparandola per essere arsa dal fuoco alchemico della Terra, durante il mese del Solstizio, quando il Sole esterno oscilla freddo dalla costellazione del Sagittario mentre gli spiriti della Terra sono finalmente svegli e il sottosuolo arde di trasformazioni.
Noce ci chiede di annientarci. Di fermarci e smettere di essere noi stessi. Perché solo così, senza maschere, senza legami, senza paletti, senza tracciato o staccionata, senza paracadute, solo così possiamo davvero essere. “Bisogna smettere di esistere, per esistere davvero” diceva Goethe, luminoso e sibillino. Di cosa stava parlando? Delle piante forse, che con il fiore superano se stesse e si condensano nel seme, morendo e proprio così aprendosi alla fecondazione del Cosmo, dando vita a una nuova pianta, una nuova versione di se stesse?
Il Noce ci parla dello sprofondare, del disfare e del disfarsi, e poi anche del cristallizzarsi di nuove forme, a partire dalle ceneri delle vecchie.
L’energia del Noce unisce acqua, fuoco sotterraneo, cenere e scintilla. E’ un albero misterioso e complesso, dall’energia fredda, legata a processi molto profondi. E’ la pare dell’evoluzione che ci fa più paura. E’ la prova, il rito di iniziazione. E’ la morte che conduce nel prossimo livello.

Per esistere davvero, occorre prima annullarsi. Da quel nulla, partire poi seguendo la prima vera spinta di desiderio che ci rianima. La morte purificatrice del Noce porta al risveglio della mente su un livello completamente nuovo. Pronti a ripartire, un altro giro di giostra lungo la spirale del destino, ripassando sempre dalle stesse tappe ma con giri sempre più lunghi, sempre più larghi, sempre più profondamente pervasi di universo.

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