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Olivo: la Grande Guida

Nome: Olea europaea L., dal latino olivum, a sua volta derivato dal greco classico elaion e dal greco arcaico elaiwon. Famiglia delle Oleaceae.

In italiano, si utilizzano sia la forma “olivo”, che la forma “ulivo”, nonostante quest’ultima sia tendenzialmente tipica delle regioni dell’Italia centrale.

Botanica:
Specie caratteristica del bacino del Mediterraneo, l’Ulivo è un albero sempreverde, dalle foglie lanceolate e coriacee, che crescono opposte una all’altra e sono coperte da un sottile strato di cera, che le protegge dagli agenti atmosferici. Cadendo, le foglie formano ai piedi dell’albero un tappeto argentato che ricopre il suolo e in mezzo a cui, verso novembre, si possono scoprire le olive, nere e mature, cadute dai rami. Le olive sono drupe, ovvero frutti al cui interno il seme è contenuto in un nocciolo, che rappresenta la scorta di nutrienti che permetterà al seme di germogliare una volta trovate condizioni favorevoli (nel caso delle olive polifenoli, acidi grassi monoinsaturi e vitamina E, cioè l’olio d’oliva). Per divenire commestibili vanno trattate, sottoponendole a un processo di fermentazione. Al naturale, le olive sono troppo amare, per via dell’elevato contenuto di oleuropeina, un complesso tanninico.

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I fiori dell’Ulivo sono piccoli, bianchi, cerosi e delicatamente profumati. L’impollinazione tuttavia è anemofila, anche se, in seguito alle migliaia di anni di coltivazione da parte dell’uomo, le varietà attuali di Ulivo faticano a riprodursi da sole, e perciò oltre alla propagazione per seme, con quest’albero di ricorre spesso alla talea.
L’ulivo non raggiunge grandi altezze, fermandosi intorno ai 15 metri massimo, la la sua longevità è invece quasi senza uguali. Può superare i 1000 anni e l’olivastro (olea oleaster, varietà di ulivo inselvatichita) di Luras, in Sardegna, che ha più di 4000 anni, è in realtà costituito da tronchi più giovani germogliati su una radice antichissima, con lo stesso patrimonio genetico dell’esemplare originario.
Le foglie, dure e simili a scaglie, sono sempreverdi e attaccate ai rami da piccioli piuttosto rigidi,  donando un aspetto quasi metallico alla chioma dell’albero, che brilla d’oro nel sole e d’argento nella luna.
L’apparato radicale è ramificato, sensibilissimo e resistente:  si insinua anche nei terreni più aridi e rocciosi, procurandosi nutrimento quasi dalla pietra stessa.

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La grande particolarità dell’Ulivo risiede però nel suo tronco, nelle forme contorte che assume, nei fori e nelle venature che lo percorrono, liscissimo eppure inciso dal tempo, modellato dalle correnti di energia che scorrono in lui secondo un ritmo per noi lentissimo, eterno. Il tronco dell’ulivo reca un messaggio scritto per noi in una lingua che dobbiamo riscoprire, antichissima e proprio per questo vicina, dentro di noi.
L’ulivo è anche il più grande produttore di olio, o almeno il più illustre. L’olio, costituito da acidi grassi e vitamina E, costituisce una riserva lipidica, ovvero è un fuoco vegetale, calorie pronte da bruciare. I processi attraverso cui si forma l’olio sono legati alle forze ignee e all’energia solare e producendo l’olio l’ulivo trasforma il calore del Sole distillandolo in forma liquida, nutrimento per il seme e per l’uomo.

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Un ultimo sguardo all’ulivo ci mostra ancora una cosa: nonostante i millenni di selezione genetica da parte dell’uomo lo abbiamo reso quasi incapace di riprodursi per seme, l’ulivo mostra ancora un’enorme vitalità: ogni anno dalla base del suo tronco spuntano polloni, che non sono altro che alberelli neonati recanti in sé, come un tesoro, il patrimonio genetico dell’albero madre, che può essere anche vecchio di secoli e ancora vivo. Capita spesso inoltre di vedere radici di ulivi strappate dal suolo e rovesciate, dalle quali, come un miracolo, nuovi polloni spuntano allungandosi verso il cielo. Forte è anche negli ulivi la tendenza a inselvatichire: lasciati a se stessi, ritornano oleastri e colonizzano la macchia, come per esempio è accaduto in alcune parti dell’Australia dove l’ulivo, importato dall’Europa, si è diffuso come arbusto selvatico espandendosi per molti ettari…
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Fitoterapia:
L’Ulivo è una pianta a funzione eminentemente solare e a potenzialità leonina. Ciò significa che agisce sul cuore, sul suo ritmo. La tradizione fitoterapeutica attribuisce alle foglie di ulivo le proprietà ipotensivante, ipoglicemizzante, febbrifuga e diuretica, rendendole un utile coadiuvante nella terapia di ipertensione e diabete.
Il gemmoderivato di Olea europea giovani getti presenta a sua volta una spiccata attività antiipertensiva, oltre che ipocolesterolemizzante e ipoglicemizzante, rendendolo un ottimo rimedio nella prevenzione e cura dell’arteriosclerosi.

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In floriterapia, Olive è un rimedio del repertorio di Edward Bach. Olive è il fiore della rigenerazione, che ci sintonizza con la Fonte dell’energia, aiutandoci nei momenti di spossatezza e depressione. Ci riconnette con il nostro Sole interno.
L’olio d’oliva, grazie al suo alto contenuto di polifenoli, acidi grassi insaturi e vitamina E, rappresenta una grande fonte di nutrimento e benessere (antiossidante).

Mitologia e storia:
Originario dell’Asia Minore, dove cresceva allo stato selvatico, l’ulivo era in origine un frutice spinoso, l’oleaster, e secondo il mito fu Eracle Dattilo a introdurlo per la prima volta in Europa, portandolo a Olimpia, dove l’eroe istituì i giochi olimpici che si svolgevano ogni quattro anni in onore di suo padre Zeus. Eracle pianto sulla spoglia collina dove sorgeva la città un bosco di oleastri prelevati alle sorgenti del Danubio, dove li aveva avuti in dono dai sacerdoti di Apollo. Fino alla settima Olimpiade i vincitori ricevevano in premio un rame di melo con un frutto, promessa di immortalità, in ricordo delle mele d’oro delle Esperidi di cui si era impossessato l’eroe. Con la settima Olimpiade il melo fu sostituito, per ordine dell’oracolo di Delfi, da una corona d’oleastro. Di oleastro era anche la clava di Eracle.

Dalla selezione effettuata in Siria sull’oleastro deriva probabilmente l’olivo che i Fenici diffusero in tutto il Mediterraneo, quell’olivo che, secondo un altro mito greco, Atena, dea della cultura e della guerra, vergine nata dalla testa di Zeus, piantò per la prima volta in Grecia. Si narra che un giorno la dea si scontrò con Poseidone, suo zio, fratello di Zeus e signore del Mare, per il possesso dell’Attica. Per dirimere la contesa gli dei si rivolsero a Cecrope, primo re di quelle terre, che promise la palma della vittoria a chi avesse creato qualcosa di straordinario. Poseidone colpì con il tridente la terra in mezzo all’Acropoli, facendone scaturire una sorgente di acqua salata. Ma fu Atena ad assicurarsi la vittoria piantando il primo olivo, come ricordava anche un’iscrizione sul fronton dell’Acropoli. Da quel giorno l’olivo divenne sacro alla dea. Non soltanto era proibito bruciarne il legno, ma si puniva severamente chi li danneggiava. Persino gli Spartani, quando saccheggiarono Atene, li risparmiarono temendo la vendetta degli dei.

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Scavato nel tronco di un ulivo centenario era anche il talamo nuziale di Ulisse, eroe prometeico simbolo del progresso dell’uomo grazie all’intelligenza così come del suo desiderio di divenire uguale a un dio (Ulisse sfida gli dei con la sua hubris, la sua tracotanza, che causa l’ira di Poseidone e di conseguenza la catena di disgrazie che porterà l’eroe a girovagare per i mari, senza poter mettere il piede sulla sua terra madre, Itaca, per lunghissimi anni).

L’ulivo è simbolo di luce, pace e civiltà anche nella tradizione biblica, così come nel Corano. La Genesi narra che quando le acque del Diluvio universale cominciarono a calare e l’arca si arenò sulla cima del monte Ararat, Noè fece uscire prima un corvo perché gli riferisse sul lento emergere delle terre, , poi una colomba. Entrambi tornarono senza aver trovato nemmeno un lembo di terra su cui posarsi. Così dopo sette giorni Noè fece volare nuovamente la colomba fuori dall’arca, e a che questa volta, al crepuscolo, la colomba ritornò, ma portando un ramoscello d’olivo nel becco. Noè comprese allora che le acque si erano ritirate definitivamente. Aspettò altri sette giorni e di nuovo lasciò libera la colomba, che non tornò più nell’arca. Per questo l’ulivo era ritenuto simbolo di salvezza, prosperità e fine del conflitto. Al simbolismo di pace, quella pace che sola permette il progresso della civiltà, si ispirava anche un’usanza testimoniata da Cirillo d’Alessandria: un esercito che voleva la pace dopo una battaglia la chiedeva tramite un araldo che si presentava la nemico recando un recipiente colmo di olio d’oliva.

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L’olio d’oliva, fuoco vegetale, è considerato sacro da tempi antichissimi. Oltre a essere una delle fonti principali di nutrimento e di luce (serviva infatti per condire i cibi ma anche per alimentare le lampade), era anche l’unguento utilizzato nei riti di consacrazione di sacerdoti e re, simboleggiando il Cristo (e christos, in greco, significa appunto “unto”, “santificato con l’olio”, e quindi prescelto).

Nel Corano si descrive un olivo misterioso. Dice Maometto nella Surat sulla Luce (la XXIV): “Dio è la luce dei cieli e della terra. La sua luce è come quella di una lampada, collocata inuma nicchia entro un vaso di cristallo simile a una scintillante stella, e accesa grazie a un albero benedetto, un olivo che non sta a oriente né a occidente, il cui olio illuminerebbe anche se non toccasse fuoco. E’ luce su luce. E alla sua luce Dio guida chi vuole. Così Dio, che sa ogni cosa, propone similitudini agli uomini.”
L’olivo mistico di Maometto non si trova a oriente né a occidente perché costituisce l’asse del mondo, e sta quindi nel centro del macrocosmo così come del microcosmo. Al centro di noi stessi, risiede l’Ulivo, distillatore dell’oro verde, fuoco vegetale, sostanza alchemica che trasforma l’uomo in dio. Così come l’albero produce l’olio sacro, così l’uomo è invitato a fare di se stesso, producendo luce liquida, quella sostanza preziosa che simboleggia il Sole, l’Io, la divinità interiore nascosta all’interno del frutto, racchiusa nel seme.

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Ulivi a San’Antimo

L’energia dell’Ulivo:
“All’ulivo bisogna avvicinarsi con rispetto, giacché non è soltanto una delle più antiche tra le piante coltivate che offrono nutrimento, è anche un sostenitore della guarigione, un custode delle sostanze per gli atti del culto, della consacrazione di Re Sacerdoti, per l’estrema unzione. L’ulivo stesso è un patriarca sacerdotale tra gli alberi; in un oliveto le ombre sono attraversate da luci argentate o dorate, vi si respira la stessa pace solenne di un santuario. (…) Anche se in età avanzata il fusto può frantumarsi, si suddivide in pezzi distinti come il ceppo del salice, assomigliando più alle rovine di una roccia spaccata che a una pianta: da esso germogliano ramoscelli verdi, giovanili e freschi, e anche i rami secolari sono nuovamente sensibili al richiamo della primavera. Si sa che in realtà tutto l’albero è un frammento della Terra, lo si capisce bene guardando un vecchio ulivo. Ma questo albero così terrestre è aperto anche alla luce e al calore cosmico.”                                        W. Pelikan, Le Piante Medicinali, vol. II

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L’Ulivo è tradizionalmente legato all’archetipo del Re sacerdote, del sovrano illuminato, dell’unione fra uomo e dio, fra il presente e l’infinito, ma anche di fusione tra uomo e donna, tra il maschile e il femminile presenti in noi. Di giorno risplende di luce dorata e di notte le sue foglie sono scaglie d’argento che cantano con la Luna. Nonostante sia simbolo di civilizzazione e di progresso e perciò sia spontaneamente considerato un albero “maschile”, razionale, in un certo senso “educato” (non per niente è sacro ad Atena, dea vergine che rappresenta il femminile controllato, “maschilizzato”, rispettato e riverito proprio perché sottomesso alla razionalità angusta tanto onorata dal patriarcato), l’ulivo sa mostrare anche un profondo lato lunare, femminile. Fuori dall’Abbazia di Sant’Antimo, per esempio, vicino a Siena, si trovano tre ulivi secolari di grande magnificenza che rappresentano chiaramente tre fasi della Dea: la vergine, la madre e l’incantatrice (poco più in là, discosto e come nascosto, c’è n’è anche un quarto; contorto e appartato, si lascia scoprire solo in un secondo momento, mentre si sta per andare via: è la quarta fase della luna-donna, la vecchia strega).
E’ sempre presso gli ulivi di Sant’Antimo che, una notte in cui la Luna in Cancro si opponeva al Sole in Capricorno, e faceva capolino in fondo a un tunnel di nuvole scure, mi è arrivato il messaggio dell’Ulivo. Lì ho saputo che, oltre a simbolo di progresso e cronaca dell’Akasha, quest’albero è anche, per eccellenza, il compagno dell’uomo.

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Ulivo secolare presso l’abbazia di Sant’Antimo

Il legno dell’ulivo è considerato pregiato, sia per via della sua bellezza che per la lentezza con cui si accresce. Nei tronchi d’ulivo, nelle loro misteriose incisioni, nelle onde, nei buchi, nelle spirali che lo percorrono, il Tempo è scritto nel linguaggio del legno. Le sue forme raccontano come l’energia ha fluito nei secoli, scolpendolo, lasciando l’impronta delle cose successe. Il legno d’ulivo è in un certo senso tempo solidificato, un diario dove stanno scritte le cronache dell’Akasha, pronte a essere decifrate, quando il lettore sarà pronto. L’ulivo è perciò memoria solida, eterno presente, saggezza e superamento del piano fisico. Ci mostra con se stesso come superare le finte barriere che ci sperano dalla divinità, restando sempreverdi e distillando il nostro fuoco alchemico. Ci parla al tempo stesso di evoluzione graduale e di cooperazione: i frutti dell’oleastro non contenevano che poche gocce di olio; è stato l’uomo a selezionare l’ulivo come oggi lo conosciamo. Ulivo e uomo sono legati dalla storia, si sono evoluti insieme. L’ulivo ci mostra anche la relatività del tempo e la pazienza che necessita per divenire dei. Non è qualcosa che succede in un giorno o in un anno, è piuttosto un processo costituito da una serie infinita di attimi, ciascuno consacrato alla Luce e ciascuno che va a sommarsi a quel precedenti, scolpendo un racconto che si muove come le onde del mare e non è, infine, altro che fluire di energia, il tessuto di cui siamo fatti. Al tempo stesso, ci mostra come i secoli si possano condensare in un attimo, come l’illuminazione annulli lo scorrere del tempo e come un numero infinito di eventi possa essere riassunto in un lampo di luce, in una forma, nel fruscio di una chioma. Nel seme è già presente tutto, ma all’uomo-albero occorrono secoli per raggiungere la forma perfetta, qualunque essa sia – il nostro contributo al Dio di cui facciamo parte.

L’ulivo collega. E’ compagno fedele, amico e maestro dell’uomo, la cui razionalità ha cercato di ridurlo a “simbolo di civilizzazione”. In realtà l’ulivo è ben più di questo. E’ stato ed è tuttora, per chi sa osservarlo, una guida arborea che reca incise le istruzioni per ri-scoprire dio all’interno di se stessi. Ponte tra uomo e dio, libro dell’akasha, registra per noi i messaggi dello spaziotempo e ci accompagna lungo il viaggio, lungo l’evoluzione della coscienza che, attraverso i suoi vari stadi, ci conduce alla realizzazione del nostro essere divini.

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Vincent Van Gogh, Alberi di olivo, 1889

Bibliografia:
-Adams M., The Wisdom of Trees, Head of Zeus Ltd, London 2014
-Angelini A., Il serto di Iside, Kemi, Milano 2008
-Brosse J., Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano 1991
-Campanini E., Manuale pratico di gemmoterapia, Tecniche Nuove, Milano 2005              -Campanini E., Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, Tecniche Nuove, Milano 2004
-Cattabiani A., Florario, Mondadori, Milano 2013
-Graves R., La Dea Bianca, Adelphi, Milano 2001
-Paterson J.M., Tree Wisdom, Thorsons, London 1996
-Scheffer M., Il grande libro dei fiori di Bach, Corbaccio, Milano 2013
– Sentier E., Trees of the Goddess, Moon Books, Hants 2014
-Spohn M. e R., Guida agli alberi d’Europa, Franco Muzzio, Roma 2014
-Tudge C., The Tree, Three Rivers Press, New York 2005

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Ambra, la pietra solare della Grande Madre

L’Ambra non è un minerale, ma una resina fossile. Il reperto di Ambra più antico risale al tardo Carbonifero (320 milioni di anni fa), ma i reperti più abbondanti appartengono a un periodo di circa 123-135 milioni di anni fa, al periodo Cretaceo.

A quell’epoca il Nord Europa era ricoperto da immense foreste di conifere appartenenti a una specie ora estinta (Pinites succinifer o Pinus succinifera), i cui tronchi essudavano una resina terpenica non molto diversa da quella prodotta oggi da pini e abeti. Quando le foreste vennero ricoperte dal mare, la resina finì sul fondale e venne sepolta da strati di sabbia e detriti che si trasformarono in rocce sedimentarie al cui interno, grazie al calore e alla pressione, la resina solidificò, incontrando le condizioni adatte per conservarsi fino ai giorni nostri.

Un tempo, i popoli baltici raccoglievano l’Ambra lungo le rive del mare. Durante le mareggiate, ciottoli di Ambra grezza venivano staccati dalle rocce che li includevano e sospinti fino al bagnasciuga. Le popolazioni indigene che la raccoglievano la utilizzavano come combustibile, come incenso o come ornamento, oppure vi scolpivano talismani e figure di animali magici o genitali, utilizzati per propiziare la fertilità. L’Ambra è la pietra preziosa più antica: già nel Paleolitico veniva impiegata in rituali o come gioiello: collane d’ambra e talismani sono stati rinvenuti in numerose tombe preistoriche in tutta Europa e nel Mediterraneo.

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Grazie agli scambi con i mercanti infatti, lungo quella che prese appunto il nome di Via dell’Ambra, questa pietra raggiungeva luoghi anche molto lontani, come il Medio Oriente o l’Egitto, e il suo mistero affascinava tutte le culture con cui giungeva in contatto: la sua luce, il fatto che a volte portava incastonati insetti o piccoli rettili o fiori, e la sua capacità di elettrizzarsi se strofinata con lana o seta.

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Il termine con cui la chiamavano i Greci era infatti elektron, da cui proviene l’italiano elettricità. Il termine Ambra invece viene dal suo nome arabo: anbar.

Plinio il Vecchio, nel II sec. d.C.,  già supponeva si trattasse di un prodotto di origine vegetale, infatti si riferisce all’Ambra con il termine succinus, ovvero succo di alberi. Aveva notato infatti che l’Ambra, se bruciata, produce un odore simile a quello delle altre resine. Ma oltre a questa numerose teorie erano state formulate in merito alla sua formazione, tra cui quella di Nicia, molto suggestiva, che supponeva si trattasse di raggi di sole al tramonto solidificati.

Pytheas di Marsiglia, nel IV secolo a.C., fu forse il primo Greco a visitare le terre del Nord e a descriverle nel suo libro, Sull’Oceano, andato perduto e giunto a noi solo sotto forma di frammenti citati da altri autori, tra cui lo stesso Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Pytheas, commerciate marsigliese, comprò una nave con la quale compì il periplo delle coste d’Europa, dal sud della Francia fino ai Paesi Baltici, dove scoprì la terra quella che lui chiama l’isola di Abalo (ancora non esattamente individuata, forse identificabile con l’Heligoland o la penisola di Samland), luogo d’origine dell’Ambra.

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Secondo alcune leggende proveniva dall’India, secondo altre dall’Africa, secondo altre ancora da certe isole chiamate Elettridi situate alla foce del Po. Il mistero sulle origini di questa pietra era alimentato probabilmente anche dai mercanti, che preferivano tenere nascosta l’esatta provenienza di una delle loro merci più preziose, che gli indigeni vendevano per pochissimo e che nel Mediterraneo era invece acquistata come bene di lusso.

Un mito greco narra che quando Zeus colpì Fetonte, figlio di Apollo, con un fulmine, per fermare la sua pazza corsa attraverso il cielo a bordo del carro del Sole (aveva già bruciato un pezzo di cielo, formando la Via Lattea, e un pezzo di terra, trasformando la Libia in deserto), il giovane cadde morto sulle rive del fiume Eridano (il Po) e le sue sorelle, le Eliadi, lo piansero con così tante lacrime che Zeus, impietosito, le trasformò in Pioppi, e le loro lacrime in grani d’Ambra.

Nei Paesi Baltici invece le origine dell’Ambra vengono fatte risalire a quando Juraté, regina del mare, si innamorò di Kastytis, un pescatore. Il padre della dea, geloso, punì l’amore della figlia distruggendo il suo palazzo di Ambra e trasformando lei stessa in schiuma di mare. I pezzi del palazzo di Juraté, sotto forma di grani, si sparpagliarono per il mare, e a volte raggiungevano le sue rive…

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Nonostante un tempo l’Ambra si raccogliesse come conchiglie lungo la riva del mare, oggi per procurarla è quasi sempre necessario effettuare delle trivellazioni, che vanno a recuperare l’Ambra ancora incastonata nei fondali marini. Un metodo sicuramente meno romantico, e molto più violento, che risveglia questo fossile dal suo lungo sonno senza attendere che la Natura lo consegni spontaneamente alle rive del mare…

Altre varietà di Ambra, oltre all’Ambra baltica (la più famosa e diffusa) sono quella dominicana e quella messicane (risalenti a epoche più recenti – circa 40 milioni di anni fa) e la simetite, estratta in Sicilia e risalente al Miocene.

La natura dell’Ambra in quanto pietra è molto particolare. Trattandosi di un fossile di origine vegetale, le sue vibrazioni sono più simili a quelle del mondo organico rispetto a quelle di altre pietre. Inoltre, la sua genesi e la sua storia la collegano intimamente all’Akasha, quel tessuto di informazioni vibrazionali in cui ogni evento accaduto rimane registrato. L’Ambra non proviene dalle viscere della Terra, come i minerali, ma è nata sulla superficie del pianeta, come noi, ed è stata parte di un albero, ne è stata il pianto. Milioni di anni fa ha iniziato il suo lungo viaggio, durante il quale è sprofondata sui fondali marini per trasmutarsi in pietra preziosa. Gli antichi reputavano l’Ambra un essere vivente, e in effetti essa lo è, è viva (come del resto lo è ogni pietra, viva, anche se di una vita molto lontana dal nostro tempo, una vita lentissima per noi, di contemplazione profonda), è viva e carica di memorie della Terra. Nelle sue cellule sono rimaste impresse le vibrazioni energetiche di milioni di anni di trasformazioni, nella sua trama sono intessute le memorie dei boschi primordiali, del mare e anche del Fuoco, perché essendo resina, è legata all’elemento Fuoco e al calore che le conifere distillano e sprigionano grazie al loro metabolismo interno.

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E’ perciò una pietra, se per praticità così vogliamo chiamarla, molto interessante: il suo patrimonio di memorie le conferisce una saggezza profonda, che attraversa le epoche. La sua vibrazione a contatto con l’aura umana è diversa da quella delle altre pietre: è meno precisa, il suo raggio meno “chirurgico” nell’azione, il suo effetto più rotondo, dolce, simile a quello dei vegetali per l’appunto.

L’Ambra è una pietra di Terra e di Sole, legata al culto della Grande Madre nella sua forma di Signora del Mare. Nell’Ambra gli elementi danzano insieme e si tengono abbracciati: la Terra, il Fuoco, l’Etere (Akasha), l’Acqua e anche l’Aria, contenuta nei grani sotto forma di bollicine di eterno presente. La sua sacralità veniva riconosciuta già nella preistoria, quando già la si utilizzava in rituali magici legati alla fertilità e al culto della Dea, di cui l’Ambra rappresentava il volto solare.

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Anche questo aspetto la rende speciale: il Sole è generalmente associato al principio maschile, mentre l’Ambra ci mostra la forza e l’autorità solare in tutta la loro femminilità, superando la dualità nella fusione degli opposti.

L’Ambra è una pietra di grande protezione, che sostiene i processi di guarigione e di riequilibrio energetico, ispirando saggezza e centratura. E’ una pietra di terzo chakra (Manipura), come mostra il suo colore giallo, ma anche in questo è particolare: l’Ambra infatti stimola le qualità più femminili legate al terzo chakra, le sue qualità più interiori: utilizzata come gioiello o nella meditazione ci aiuta a trovare il nostro centro, il nostro equilibrio interiore, l’autostima e la fiducia in noi stessi, sviluppando il lato femminile dell’autorità e della forza.

L’Ambra ci dice che soltanto da un cuore aperto e da un sole interiore che vibra ad elevata frequenza possono nascere azioni efficaci e scelte giuste. La tenacia, la determinazione, la perseveranza, la forza (tutte qualità del terzo chakra) si disperdono se alla loro origine non hanno un sole splendente, un palazzo dorato, un grande lago calmo le cui acque sono continuamente alimentate da una sorgente di luce interiore.

L’Ambra inoltre stimola anche il secondo chakra, Svadhisthana, legato all’energia creativa e alla fertilità, non solo biologica) e il quarto chakra, Anahata, il chakra del Cuore, connesso all’Amore per se stessi e per gli altri. Indossare una collana di grani d’Ambra (facendo attenzione che si tratti di Ambra naturale  e non di una delle numerose contraffazioni in commercio o addirittura di un falso in plastica o vetro) stimola tutti e tre i chakra, donandoci fiducia in noi stessi, apertura di cuore e stimolando la nostra creatività. La sua azione è più delicata e necessita di più tempo rispetto a quella di altri cristalli, ma la sua dolce luce penetra in profondità nella nostre cellule, sostenendoci anche nei periodi più oscuri.

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Un uso molto specifico di questa pietra è legato al suo potenziale akashico. L’Ambra è una pietra della memoria, e come tale può essere d’aiuto durante le meditazioni volte a far emergere dal mare del nostro inconscio ricordi sepolti, antichi, risalenti forse ad altre vite. Con la sua luce interiore e il suo calore, l’Ambra ci protegge e ci permette di contemplare questi grani di memoria inondandoli di sole e donando loro un senso nel contesto della nostra vita. Questo è però un uso molto avanzato e delicato dell’Ambra, un uso sacro, un dono offerto a chi è pronto per esplorare la sua connessione con l’Akasha ed espandere la consapevolezza del Sé.

L’Ambra è la pietra della Dea, un gioiello da Regine. Le donne la possono indossare per risvegliare la Dea dentro di sé, e gli uomini per dare più spazio al proprio lato femminile, per renderlo più fiero, più robusto.

Rudolph Steiner consigliava di far indossare collanine d’ambra anche ai bambini durante la dentizione, in quanto riteneva che questa pietra facilitasse il processo. In effetti, l’Ambra è portatrice di energia solare e protettrice di tutti i processi di crescita.

Secondo alcuni testi del Buddhismo Mahayana, l’Ambra è la pietra preziosa associata simbolicamente al quarto dei Sette Gioielli (sette virtù), e cioè a spathika, il gioiello dell’altruismo (che secondo altri testi è invece simboleggiato da perle o dal cristallo).

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La Visione dell’Ambra:

L’Ambra parla con voce di miele. E’ la voce della Dea Madre, Iemanjà, che abita il Mare. I suoi capelli sono schiuma dorata dai raggi del Sole, il suo corpo sono le Acque, sull’orlo delle sue vesti si stendono immense Foreste verde scuro.

Figlia alchemica del Mare e degli Alberi, io porto il Sole dentro di me. Porto i segreti degli insetti, la memoria di boschi sommersi, la musica di millenni di onde. Sono lacrime di Luce, grani d’Estate, il mio calore è un calore antichissimo, generato da un Fuoco nato milioni di anni fa e mai estinto. Il Fuoco non si spegne, ma si trasforma di continuo. Io ne sono la prova vivente. Io vivo nel contatto profondo, con me ritornano le memorie del Mondo custodite dal Mare dell’Inconscio.

Sono essenza di Bosco solidificata e la mia Luce ti collega all’infinito Akasha, dove puoi ritrovare la tua connessione all’Uno. Esisto grazie al tempo, proprio come te, ma il tempo non mi imprigiona. E’ solo un modo di essere, un ponte verso il Sé. Oltre il tempo, io sono ancora resina di alberi in foreste lussureggianti, sono ancora calore di fuoco, sono ancora ciottolo nel mare profondo che protegge la mia cottura lunghissima, la mia trasmutazione. Sono ancora zanzara e felce, sono bolla d’aria, sono schiuma di mare e sabbia, sono corteccia, ago di pino, balsamo, fumo d’incenso, sono talismano, sono raggio di Sole, moneta di scambio, monile divino, lacrime di donne albero, scaglie di un palazzo sottomarino. Sono tutte queste cose e molte altre ancora. Non c’è limite al mio essere, sono tutto contemporaneamente e reco in me la memoria delle Stelle. Nel mio corpo sono registrate vibrazioni marine, terrestri e cosmiche di milioni di anni, eppure sono leggera, quasi trasparente, tiepida. Puoi portarmi con te e quando mi guardi ricordare le ere che contengo. Io ti faccio dono di me, adagiandomi sulla riva del Mare, perché tu possa apprendere la mia saggezza e viaggiare insieme a me oltre il Tempo, nell’Akasha. Figlia alchemica del Mare e degli Alberi, sono il tuo gioiello. Vestimi e diventa la Dea che già sei.

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Parole chiave: protezione, guarigione, fiducia in se stessi, Grande Madre, memoria akashica

Colore: giallo oro con sfumature arancio, marroni o verdi

Chakra stimolati: II, III, IV

Per approfondire:

-M.Gienger, L’arte di curare con le pietre, ed. Crisalide, Spigno Saturnia, 1997

-K.Raphaell, La luce dei cristalli, ed. Verdechiaro, Baiso, 2012

Stony beach of Baltic Sea